Donna crocifissa, meglio il silenzio

A Milano non potrebbe accadere. Suor Letizia vigila sul suo convento. Una città che chiude presto la sera e che consente ai giovani soltanto di stare per strada a bere e a drogarsi all’aperto in prossimità di qualche caffè alla moda.
Così Maurizio Cattelan, tanto acclamato e reclamato altrove, troverebbe difficoltà a ripetere la provocazione dei due bambini impiccati che tanto fece discutere quattro anni fa, quando l’assessore alla cultura poteva decidere in autonomia.
Non di meno Salvatore Carrubba si trovò in grave imbarazzo dovendo rispondere a una città impreparata alla libertà dell'arte che altrove è iniziata con Beethoven.
E io mi trovai, allora, a difenderlo e a sostenere Cattelan.
D'altra parte, era questo che egli chiedeva.
Nessuno più di lui evoca parole, opinioni, posizioni, opposizioni, rendendo noi che ne parliamo soci della sua impresa. E ogni sua opera non è, se non, accompagnata da un coro di consensi e di dissensi, parte essenziale del suo lavoro. Che poi è lavoro o divertimento? Certo Milano lo ha aiutato. Qualche tempo dopo, infatti, nella smaliziata Torino, in occasione della mostra su «il Male» io esposi una replica dei suoi impiccati, attendendomi almeno una debole protesta. Nessuno fiatò.
A Torino i bambolotti impiccati non scandalizzano e gli artisti possono fare quello che vogliono.
Adesso la storia si ripete. E io so che scrivendo di Cattelan, qualunque cosa dica, concorro alla sua gloria, contribuisco a dar senso alla sua opera, che esiste perché se ne parla. Mettere una donna in croce, per di più su iniziativa di una associazione ebraica, sulla parete esterna di una ex sinagoga, ora chiesa cattolica di San Martino della cittadina di Pulheim, scandalizza solo chi pensa che il Cristo sia morto soltanto per i maschi. Essendo che la sua passione riguarda l'intera umanità, una donna crocifissa non è altro che il Cristo con un'altra veste. Ma Cattelan non lo sa, non ci pensa e afferma: «Alla fine, non viviamo affatto in un mondo buono».
La prossima volta, non sapendo che già esiste in una piccola città delle Marche, Cupra Montana, per esplicita richiesta del parroco monsignor Maurizio Fileni al versatile pittore Giancarlo Scorcelletti proporrà l'Ultima cena di sole donne.
Per ora si è limitato alla crocifissione, ignorando che essa è già toccata, rappresentazione compresa, a Santa Giulia, appesa in effigie nell'omonima Chiesa di Brescia. Ma, tra l'ignoranza di Cattelan e quella dei suoi commentatori, la nuova invenzione fa scalpore. E in Germania non vedevano l'ora che l'arte intercettasse le reazioni di chi la fa vivere creando il necessario scandalo.
Ancora una volta Cattelan ha ottenuto quello che voleva. E noi siamo qua ad aiutarlo. Ci sarà chi invoca la censura, ci sarà chi ride sotto i baffi, perché la censura aiuta l'opera a vivere, anzi ne è la stessa ragione di vita. La minaccia di cancellare qualcosa, l'annuncio di morte, implicito nella censura, la condanna eventuale, sono tutti pronunciamenti favorevoli all'artista, vittima del potere che ha osato sfidare. In realtà, la vera censura è il silenzio, lasciar fare e ignorare. Ma è troppo difficile resistere. La alternativa resta la clausura. Dispiacerà forse a Cattelan sapere che la sua idea non è originale non solo rispetto all'iconografia religiosa, ma anche all'arte contemporanea.

In questo momento, a Milano, al Pac, non senza per un attimo aver turbato suor Letizia e la sua amabile corte di devoti, è esposta una donna crocifissa, nuda, mirabilmente dipinta da un pittore dotato di straordinario mestiere, Adelchi Riccardo Mantovani, raro e raffinato artista ferrarese (attivo a Berlino). Si tratta di un dipinto; si è preferito non censurarlo. Così nessuno, prima d’ora, ne ha parlato. Vedi come va il mondo, nonostante suor Letizia.
Vittorio Sgarbi

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