Donne e denari: in manette Vittorio Emanuele

Nino Materi

Il Palazzo di giustizia di Potenza sorge proprio a fianco di un piccolo stadio di calcio, ma la «partita» che da ieri si sta giocando negli uffici della Procura lucana sarà seguita in tutto il mondo. La notizia è clamorosa: Vittorio Emanuele di Savoia, 69 anni, è stato arrestato ieri pomeriggio nel Lecchese per ordine del Gip del Tribunale potentino, nell'ambito di un'inchiesta coordinata dal pubblico ministero, Henry John Woodcock. Nei confronti del principe le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al falso e allo sfruttamento della prostituzione.
Tra le dodici persone finite nella rete dei magistrati lucani ci sono anche altri due nomi illustri: il portavoce di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile e il sindaco di Campione d'Italia (Como), Roberto Salmoiraghi; per entrambi sono stati disposti gli arresti domiciliari. Salvatore Sottile, originario di Milazzo, centro a una trentina di chilometri da Messina, è accusato di avere abusato, promettendole carriera e successo nel mondo dello spettacolo, di una show-girl di origini calabresi. Sottile avrebbe ottenuto prestazioni sessuali in cambio di promesse fatte assieme a un funzionario della Rai, che attualmente risulta indagato a piede libero.
L'accusa nei riguardi di Vittorio Emanuele di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al falso fa riferimento ad un vero e proprio «mercato» dei nulla osta per i videogiochi ed altri apparecchi elettronici utilizzati per il gioco d'azzardo; vicenda nella quale gli investigatori hanno scoperto legami con alcuni clan siciliani (ieri infatti è finito in manette Rocco Migliardi, 53 anni, originario di Messina, considerato uno dei personaggi-chiave dell’organizzazione criminale).
L'altra accusa rivolta al principe - quella di associazione per delinquere finalizzata alla prostituzione - riguarda il reclutamento di ragazze da offrire a clienti del casinò di Campione d'Italia.
L'arresto di Vittorio Emanuele di Savoia è legato ad un'inchiesta coordinata dal pm Woodcock che, il 6 maggio scorso, portò all'arresto della cosiddetta «banda delle truffe», un'organizzazione specializzata nel frodare imprenditori di varie regioni italiane, «alleggeriti» di centinaia di migliaia di euro.
In particolare, sono coinvolti il presunto capo della banda, Massimo Pizza, e il faccendiere Achille De Luca, entrambi detenuti in carcere; Pizza e De Luca hanno ricevuto ieri un'altra ordinanza di custodia cautelare in carcere, la stessa con cui è stato arrestato il principe di casa Savoia.
Vittorio Emanuele di Savoia si trovava ieri mattina a Lierna, in provincia di Lecco, dove aveva presieduto la cerimonia per la donazione di una campana con l'effigie di casa Savoia. L’erede di Casa Savoia è stato arrestato nel pomeriggio a Varenna, sulla sponda lecchese del Lago di Como, dopo aver pranzato con la moglie Marina e alcuni amici a Villa Cipressi, nella nota località turistica sul lago. Vittorio Emanuele doveva poi trasferirsi al Casinò di Campione d'Italia per una cena di beneficenza a favore dell'Istituto europeo oncologico di Milano.
Tutti improntati alla cautela i commenti del mondo politico e degli ambienti monarchici dai quali però non vengono risparmiate frecciate alla Procura di Potenza, «rea già in altre occasioni di aver spettacolarizzato gli arresti di personaggi eccellenti, poi puntualmente prosciolti».
«Come al solito non derogo ai miei doveri di riservatezza. Dunque, parlano per me le circa 2000 pagine del provvedimento che ho firmato, dopo un'attenta valutazione tecnico-giuridica dei fatti che il pubblico ministero ha prospettato nella richiesta di misura cautelare». Così ha risposto all'Ansa il giudice per le indagini preliminari di Potenza, Alberto Iannuzzi, che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del principe Vittorio Emanuele di Savoia e di altri 12 indagati.

«Posso solo dire - ha aggiunto Iannuzzi - che si tratta di un'inchiesta molto delicata, che va avanti da oltre due anni». Ancora più laconico il commento del pm Woodcock: «Non dico nulla, non parlo mai delle mie inchieste». Alcune delle quali - partite con un «gran botto» - sono finite in un assordante silenzio.

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