Il mondo femminile disarmato e disarmante. Donne che manifestano la loro regalità in un ambiente domestico, in diverse posizioni, prevalentemente sedute, su sedie, divani, sgabelli. Rigorosamente dure. Sole o in gruppi di tre. Una umanità essenziale, esclusivamente femminile, donne chiuse nella loro solitudine. Il pittore Patrick Dalli le osserva senza pietà e senza indulgenza, e stabilisce con loro un confronto a distanza. Le interroga e non le carica di significati, ma si preoccupa di rappresentarne la nuda esistenza. Dalli le invita a resistere.
Nulla di più naturale di un nudo. Quelli dipinti negli studi dell'Accademia sono esercizi di stile. Le nude di Dalli sono in un contesto domestico. Aspettano, guardano noi che le guardiamo e non temono giudizi. Osservano il pittore che le osserva ma, nella mente, ha i nudi di Giorgione, Tiziano, Cagnacci, Subleyras, Goya, Manet, Bacon, Freud, Jenny Saville. Non ne cita nessuno ma li evoca tutti. E davanti alle sue nude scorrono come in un nastro le immagini di quei maestri dai quali, senza ripeterne le posizioni, deriva la postura delle gambe, l'accovacciarsi su un letto o il distendersi su un divano, l'abbandono delle braccia, gli intrecci dei corpi, le placide sedute di corpi grassi e talora deformi. Dalli studia tutte le posture, vuole che i corpi parlino, vuole che esprimano condizioni psicologiche, che dicano stati d'animo: per questo la citazioni delle fonti, forse con l'esclusione di Freud, non è mai diretta, per evitare mediazioni o distanze. Troppo preme a Dalli studiare essenze e destini, e per questo presta particolare attenzione ai volti, li scruta fino a svelarne l'intimità. Ci parla di sé attraverso il pensiero che leggiamo negli occhi di ogni donna.
È la traduzione in pittura di un racconto di Michel Tournier, il grande scrittore francese che descrive il comportamento di un fotografo, un faccista, fotografo di volti, ovvero ritrattista, che intende cogliere in donne non conosciute, individuate per strada, un mistero, un pensiero segreto. Le invita nel suo studio, mantenendo un atteggiamento professionale, e chiede loro, com'è normale per la modella di un pittore, di spogliarsi. Qualcuna non si stupisce, qualche altra, preoccupata, chiede perché, per dipingere il volto, sia necessario spogliarsi. E potrebbe essere logico; ma il fotografo, lucidissimo, spiega che l'espressione di un volto su un corpo vestito è rigida, convenzionale, atteggiata, e, benché l'espressione riveli la sua verità e il suo candore, il corpo nudo è essenziale. La testa allora ha una diversa luce, che sale, che prorompe dal candore del corpo. L'atteggiamento psicologico di chi è vestito presuppone una maschera, e indirettamente investe anche il volto.
È esattamente ciò che vediamo nei ritratti di Dalli. I volti sono carichi di pensieri lontani, di nostalgie, di affetti, sono più disarmati dei corpi e indicano, di volta in volta, determinazione, rassegnazione, intesa. Il mondo è fermo, e loro sono discese da una lunga giornata per mettersi in posa, e rivelare nostalgie, imbarazzi, turbamenti. Nessuna di loro esce dalla sua solitudine, nessuna dialoga, nessuna agisce. Stanno, semplicemente stanno. Talvolta Dalli si esercita a rappresentare la stessa persona e lo stesso corpo nudo in atteggiamenti e posizioni diverse, e si compiace di dipingere corpi sovrappeso al limite della deformazione, in atteggiamenti sciatti o proni. Ognuna ha il corpo che le è toccato, con i seni cadenti, il grasso nelle cosce, la certezza di non essere desiderate. Ma c'è dignità anche nella rassegnazione, come non sempre accade in Freud. La nudità non limita la dignità.
Le donne di Dalli sono tranquillamente, serenamente nude, e i loro volti prevalentemente impenetrabili. Dalli non chiede intimità o confidenza, e tanto meno partecipazione, chiede consapevolezza dell'esistenza data. Ognuna ha un corpo, un volto. Nella lunga serie, Dalli rappresenta l'umanità nella sua infinita varietà, ma non c'è mai esibizione, mai autocommiserazione, e anche presunzione di sé. Ogni donna è un destino, ogni storia è possibile, oltre quei corpi c'è una vita, una storia, quella che i sociologi chiamano «vissuto». Dalli semplicemente lo registra, non incontra nudi atletici, performatici, provocatori, sexy. Pervicacemente riproduce la varietà delle esistenze e, nello spogliare le donne, evita loro qualunque imbarazzo perché non le spoglia di divise e di poteri come potrebbe accadere per un uomo. Riporta all'origine della vita, che ci vede nascere nudi da corpi di donne nude in una condizione primaria. Poi inizia il travestimento. E, nella scelta degli abiti, ognuno di noi cala una componente o più componenti del suo carattere. Ci si veste per come ci si interpreta, mascherando la propria immaginaria umanità.
Queste donne sono nel loro status originale, e il linguaggio del loro corpo non può ingannare. Ed è singolare anche che i più acuti interpreti di sentimenti ed emozioni umane, come Freud e, molto prima di lui, l'italiano Fausto Pirandello, abbiano, con tanta determinazione, dipinto nudi potenti di donne con la stessa materia grassa con cui ce li ripropone Dalli.
La nudità è rivelazione, tutto il resto non serve: è storia, costume, atteggiamento, finzione. Ecco: Dalli esce dal teatro del mondo e ritorna alla pura esistenza. Può sembrare una ossessione: è invece la semplicità della vita.
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