«DOTTOR HOUSE», DA CASO CLINICO A GIALLO

Si pensava che il filone delle fiction ospedaliere avesse già dato tutto quello che poteva dare, passando attraverso il culmine di E.R. che rimane un capostipite indiscusso del genere. È arrivato invece sugli schermi il Dottor House (venerdì su Italia 1, ore 21), che non è un capolavoro in termini assoluti ma riesce a offrire non pochi motivi di interesse. Anzitutto per la tipologia del protagonista, l'esperto di malattie infettive del Policlinico del New Jersey Gregory House (interpretato da Hugh Laurie), personaggio difficile da dimenticare: trasandato, con la barba incolta, zoppo in seguito a una diagnosi sbagliata subita da altri medici (una sorta di beffardo contrappasso), scorbutico quanto basta per non avere voglia di tenere troppi contatti con i pazienti, ma dotato di una straordinaria capacità diagnostica. Il che lo rende «sopportabile» ai suoi stessi colleghi, che non si sentono di rinunciare alle sue qualità professionali, anche se l'appellativo di «gran bastardo» è quanto di più ricorrente gli capiti di ascoltare dalla bocca di chi lo frequenta. La singolarità del personaggio è il punto di forza di Dottor House, anche perché l'abilità diagnostica è sempre più rara nella realtà di un mondo ospedaliero ricco di medici (bravi o meno bravi che siano) che ormai delegano fin troppe responsabilità agli esami clinici da cui sperano di ottenere le risposte desiderate. Il dottor House non rinuncia certo al supporto scientifico, ma il suo fascino sta nel vederlo ragionare con i colleghi dei casi che gli si presentano mettendo insieme competenza medica e intuizioni al limite dell'azzardo, conoscenze teoriche e pragmatismo estemporaneo. Il telespettatore, a volte in modo crudo e diretto, ha così modo di seguire come mai gli era capitato in precedenza il dipanarsi dell'indagine medica, familiarizzando con i termini tecnici ma anche con tutto ciò che succede dietro le quinte della costruzione di una diagnosi. In questo modo ogni caso clinico diventa una sorta di «giallo» alla scoperta della causa della malattia o delle sopravvenute complicazioni. A ciò si aggiunge un altro motivo di interesse, costituito da una sceneggiatura molto attenta a tratteggiare con acutezza i rapporti tra medici e pazienti, sempre in bilico tra doveri professionali e scrupoli umani, tra l'esigenza della verità e la difficoltà di dirla, delineando con tatto e perizia le dinamiche psicologiche che si instaurano in un ospedale.

La fiction perde qualche colpo negli episodi in cui la scelta del «caso clinico» è meno felice, talvolta tirata per i capelli o farraginosa. Ma il Dottor House merita comunque di stare tra i nomi importanti dei medici «televisivi» che, dal dottor Kildare in poi, si sono fatti amare dal pubblico.

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