Draghi: "Il debito greco? Non va ristrutturato"

Il futuro presidente della Bce: "Una scelta che causerebbe gravi danni all’economia e un possibile rischio di contagio. Meno costoso attuare il programma di risanamento". Ma la Germania propone di allungare di sette anni le scadenze dei bond ellenici

Draghi: "Il debito greco? Non va ristrutturato"

Ci sono tre principi-cardine che ispirano la Bce dalla fondazione: «Credibilità, indipendenza e pragmatismo». Il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, li richiama tutti nel documento inviato al Parlamento europeo in vista dell’audizione del 14 giugno prossimo per la nomina al vertice della Bce. Un passaggio importante in vista della nomina formale da parte del Consiglio europeo, convocato per il 24 giugno, che farà di Draghi il successore di Jean-Claude Trichet.
Il presidente sarà nuovo, ma porterà in dote l’idea di mantenere l’Eurotower all’interno dei solchi già tracciati. Ovvero, continuità nella gestione (il che significa, in particolare, focus sulla stabilità dei prezzi) e autonomia dal potere politico. Quello stesso potere che più volte, durante la recessione, aveva tirato per la giacca Trichet chiedendogli maggiore elasticità (cioè tassi più bassi) nella conduzione della politica monetaria. Il rischio è quello di mettersi subito di traverso rispetto ai desiderata di alcuni governi, con la crisi del debito greco ancora senza soluzione. La posizione di Draghi sull’argomento è la stessa della Bce, senza neppure uno scostamento millemetrico.

Dunque, un «no» secco alla ristrutturazione del debito ellenico, «i cui costi supererebbero i benefici» e che avrebbe come conseguenza quella di «danneggiare gravemente» tutta l’economia dell’euro zona, di minare la fiducia sui bond anche di altri Paesi e di innescare possibili timori di effetti contagio.

Motivazioni più che sufficienti per accantonare rimedi di questo tipo. La Germania, che ha sempre mantenuto un atteggiamento ondivago sugli strumenti per tenere Atene lontana dal default, sembra però pensarla diversamente. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, secondo il quale alla Grecia servono 90 miliardi fino al 2014. Schauble ha infatti proposto ieri di far slittare di sette anni le scadenze di pagamento dei bond ellenici. Certo meno invasiva se confrontata alla terapia-choc del taglio di capitale, è la soluzione soft che neppure l’Fmi disdegna. Ci sono però da convincere i creditori della Grecia ad accettare un allungamento, non breve, dei termini di rimborso. E ciò potrebbe rivelarsi un problema, se non verranno messi in campo rapidamente gli strumenti necessari a tenere Atene al riparo dalla speculazione.

Draghi, infatti, preferisce un’altra opzione: «Con ogni probabilità attuare il programma di risanamento è l’opzione meno costosa per tutte le parti coinvolte», argomenta il governatore al Parlamento europeo. Contrario anche all’idea tremontiana dell’emissione di Eurobond come paracadute anti-crisi: solo con «importanti cambiamenti istituzionali», che attualmente «appaiono improbabili», è possibile pensare al varo di questi strumenti. Semmai, suggerisce Draghi, i Paesi dell’Eurozona devono «migliorare ulteriormente il coordinamento delle politiche» e «rafforzare la sorveglianza macroeconomica. Identico è lo scetticismo sulla possibilità di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. Complice il timing della diffusione delle sue risposte, Draghi incorre così in un incidente di percorso con il Parlamento europeo, che proprio ieri ha rilanciato questa ipotesi.

È comunque inevitabile che il futuro numero uno della Bce dovrà tenere un occhio ben aperto sul dossier Grecia. L’altro, in maniera del tutto naturale, rimarrà concentrato sull’inflazione.

Il mantra di Trichet è lo stesso di Draghi: l’obiettivo principale della Bce «è preservare la stabilità dei prezzi nel medio periodo». Un imperativo che resta «una sfida», ma che è il solo modo per incentivare la crescita, dal momento che una Banca centrale non può influenzare la crescita economica in modo sostenibile «cambiando la massa monetaria».

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