Due proposte per bilanciare una Corte troppo "sudista"

Il Settentrione è sottorappresentato. Le vie d’uscita sono le "quote etniche" come in Alto Adige o garantire esponenti alle otto Regioni più grandi

Non voglio entrare nel merito della vicenda del Lodo Alfano, e neppure nella polemica sull’appartenenza politica dei giudici della Corte costituzionale.
Vorrei invece soffermarmi sulla loro provenienza, non ideologica, ma geografica.
Su quindici giudici che compongono la Corte, solo due sono nati in Padania, uno forse anche incidentalmente visto il cognome e il curriculum: siamo attorno al 13% (o al 6,5%).
In compenso ben nove sono campani: immagino che le riunioni potrebbero tranquillamente svolgersi in napoletano stretto. Al professor Frigo, unico lombardo nel palazzo, andrebbe garantita la traduzione simultanea.
Non è un’anomalia ma il coerente esito di un trend che dura dal 1956, quando la Corte è entrata in funzione. Da allora ci sono passati in tutto 97 giudici, solo 17 dei quali padani (nel senso di nati in Padania), e cioè meno del 18%. La sola Campania ne ha per contro forniti 27. Ancora più anoressica è la situazione delle due maggiori regioni settentrionali: in tutto i lombardi sono stati tre e i veneti nessuno, proprio neanche uno.
Cosa se ne deve pensare? Che il Meridione sia la culla del diritto ce lo sentiamo dire ogni giorno. Si continua a sostenere che i giudici non siano nominati per meriti politici ma solo - per carità! - per meriti accademici. Ma è possibile che dalle nostre parti nessuno risponda ai requisiti necessari? Allora è vero che siamo una banda di ignoranti, di illetterati, gente che pensa solo a lavorare, che «non tira se non al quattrino» come diceva Scarfoglio, dei baggiani con maggior dimestichezza con la legge della giungla o con rudimentali usi giuridici longobardi che non con il Diritto con la maiuscola.
Oppure la scelta dei giudici è - Dio non voglia! - deliberatamente geografica?
Non è certo il caso, però si riconoscerà che suona quanto meno bizzarro che regioni che hanno il 44% della popolazione complessiva, e che forniscono i tre quarti delle casse della Repubblica contino solo per il 13% nella Corte suprema, quella che deve decidere del destino delle leggi e quindi di tutta la comunità?
Milioni di persone non possono non sentirla come una cosa estranea, una «cosa non nostra».
Credo che una giusta rappresentatività sia nell’interesse di tutti, oltre che del valore del principio stesso. Non sarebbe auspicabile che tutti si sentissero partecipi?
Ci sono due modi per farlo.
Il primo è di applicare la cosiddetta «proporzionale etnica», quell’invenzione che ha permesso ai sudtirolesi di conservare in maniera efficace autonomia e identità. Capisco però che a molti inossidabili patrioti, compreso qualche orfano di Preziosi e delle sue teorie sulla razza italiana, la cosa potrebbe dare qualche prurito.
Allora, visto che tutti parlano di federalismo si regionalizzi la composizione della Corte. Le otto Regioni di media grandezza esprimano un giudice ciascuna, la Lombardia, che è grande il doppio di tutte le altre, ne nomini due, e quelle minori scelgano gli altri a rotazione. Così tutti si sentirebbero rappresentati e nessuno avrebbe la spiacevole sensazione di essere nelle mani di un organismo estraneo, foresto, un po' troppo mediterraneo.
L’articolo 25 della Costituzione afferma che «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge».

Mai come in questo caso l’idea di «naturalità» è strettamente legata alla condivisione comunitaria, alla geografia. Non sarebbe espressione del linguaggio giuridico più raffinato, ma inserire in Costituzione un bel «Giudici e buoi dei paesi tuoi» la renderebbe assai più vicina alla gente.

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