Duomo, in coda per confessarsi: "Più di 500 persone al giorno"

Quaresima e crisi. Monsignor Meana: «Molto diffuso il bisogno di parlare». Dalle 7 del mattino studenti, impiegati e tanti stranieri

Sulle panche ai lati dell’altare, transetto sinistro, una quarantina di persone. Aspettano il loro turno senza bisogno di prendere il numero, per sapere chi ha la precedenza si scambiano un’occhiata. Siamo in Duomo e la gente è in coda per confessarsi, certo non litiga qualche minuto prima di parlare col prete. Mezz’ora dopo: altri fedeli, sempre una quarantina, in coda davanti a sei confessionali. Giovani, vecchi e di mezza età. «Dalle sette del mattino alle sette di sera arrivano qui 500 persone» calcola monsignor Gianfranco Meana, penitenziere maggiore, ossia il responsabile dei 31 confessori della Cattedrale. Cinquecento in un giorno? «Sono stupito anch’io, ma la gente ha bisogno di parlare, il sacramento è anche questo. Soprattutto nei momenti di difficoltà e poi perché siamo vicini alla Pasqua». Durante gli altri periodi dell’anno infatti il numero scende, «non cinquecento ma più di trecento sì». Certo è che per far fronte alle richieste anche il Duomo si è organizzato: dal luglio scorso le confessioni non avvengono più lungo le navate laterali ma in uno spazio apposta, il transetto, appunto. Al centro i cartelli con i nomi dei preti («c’è chi ha iniziato un cammino spirituale e desidera sempre lo stesso interlocutore») e gli orari, dal lunedì al sabato dalle 7 alle 18.30 e la domenica dalle 8 alle 12 e dalle 14.30 alle 18.30. Ma non era in crisi la confessione? «Mi guardi in faccia, sono qui dalle 7 del mattino, non si vedono i segni della stanchezza? - sorride monsignor Meana - Ero abituato al ritmo di una parrocchia, se pur grande come la San Gerardo di Monza, ma qui è tutt’un’ altra cosa». A cominciare dai linguaggi: i preti si sono adeguati e confessano in inglese, in spagnolo, in francese, perfino in giapponese. L’80 per cento dei penitenti è però italiano, fra gli stranieri i più numerosi sono i sudamericani, «ma qui in centro arrivano anche tanti turisti, ecco perché dobbiamo conoscere le lingue, ci manca ancora il tedesco» confida il monsignore. Poi c’è la vicinanza con l’università e questo spiega perchè arrivino anche molti studenti. Ad ogni fascia oraria corrisponde una popolazione: al mattino presto chi deve timbrare il cartellino, entro le 9 studenti e signore anziane, gli impiegati nella pausa pranzo o quando vengono via dall’ufficio. Cosa tormenta di più? «In questo periodo è il bisogno. C’è chi si avvicina al confessionale per chiedere denaro, soprattutto dopo la creazione del Fondo famiglia lavoro. Suggeriamo a queste persone di rivolgersi alla Caritas. Una sera è arrivato un uomo sui 55 anni, mi chiedeva con quali parole avrebbe potuto dire alla famiglia che era stato licenziato.

Poi tanti giovani sfiduciati: quando sono scaduti i loro contratti a progetto sono stati costretti a rientrare a casa, magari in un altra città. Mi dicevano di sentirsi sconfitti dalla vita e io rispondevo: «Avete perso una battaglia, non la guerra».

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