E adesso la Corea del Nord minaccia la guerra

Pechino definisce «sfacciato» l’atteggiamento nord-coreano

Marcello Foa

La Corea del Nord non frena. Anzi, rilancia. Eventuali nuove sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu verrebbero considerate «alla stregua di una dichiarazione di guerra». Parola del misterioso funzionario di Pyongyang, che, da Pechino, è diventato il portavoce del suo governo. Ha parlato martedì e ancora ieri usando sempre come canale l’agenzia di stampa sud-coreana Yanhop. La strategia di Kim Jong Il è ormai chiara: continuare ad alzare la posta in gioco per costringere il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, a tornare al tavolo delle trattative, interrompendo ogni forma di pressione, in particolare quella finanziaria.
Il numero due del regime, Kim Yong-Nam, pur non pronunciando la parola guerra, lo ha detto esplicitamente. «La questione dei futuri test nucleari è legata alla politica Usa verso il nostro Paese», ha dichiarato ad alcuni giornalisti giapponesi. «Se Washington continuerà a fare pressione, mantenendo un atteggiamento ostile, non avremo altra scelta che compiere passi concreti per affrontare la questione».
Ma la strategia sembra non funzionare. Ieri Bush, in conferenza stampa, ha annunciato che la Corea del Nord subirà «serie ripercussioni» per il test atomico condotto lunedì scorso. E sebbene abbia escluso esplicitamente il ricorso alla forza, ha ribadito che la strada è quella delle sanzioni, d’intesa con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha lanciato un appello alla ripresa dei negoziati; ma Bush non ci sente. «Il dialogo bilaterale con Pyongyang è una strategia che non ha funzionato in passato», ha detto riferendosi alle politiche del suo predecessore Bill Clinton. E a chi pensa che siano stati gli Usa a provocare questa crisi, il capo della Casa Bianca risponde additando «l’intransigenza di Kim Jong Il».
No, dunque, a qualunque concessione, ma senza reazioni impulsive. E questa linea piace anche a Pechino. Già martedì il governo cinese si era espresso a favore di una «sanzione appropriata»; ieri lo ha ripetuto, visibilmente irritato per le nuove minacce, alzando il tono della polemica. Sebbene abbia da sempre rapporti privilegiati con la Corea del Nord, ieri per la prima volta ha definito «sfacciato» il suo atteggiamento, un aggettivo in genere riservato solo ai nemici. E su alcuni siti Internet sono apparsi commenti critici sull’operato degli alleati, a dimostrazione della volontà del governo.
La questione è: quali sono le sanzioni che Pechino giudica appropriate? Ieri alcune fonti hanno spiegato che non verranno approvate quelle che limitino i cospicui aiuti alimentari, senza i quali la Corea del Nord non sopravviverebbe. La Cina non vuole che il regime crolli, perché un evento del genere provocherebbe l’esodo di centinaia di migliaia di profughi e la destabilizzazione di tutta l’area. E allora all’Onu si lavora a una risoluzione che consenta di lanciare un messaggio forte ma responsabile; ad esempio ispezioni su tutti i cargo da e per il regime di Kim Jong Il alla ricerca di materiale militare. Il sì dell’Ue a sanzioni è stato confermato ieri da Javier Solana, Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera, il quale ha detto di auspicare una risoluzione «chiara, dura ed efficace».
Il Giappone, comunque, ha deciso di non aspettare le decisioni del Palazzo di Vetro e ha imposto misure unilaterali. Le decisioni adottate dal Consiglio di sicurezza nazionale e che verranno formalizzate domani, prevedono il divieto per tutte le navi nord-coreane di entrare nei porti giapponesi, mentre le importazioni da Pyongyang sebbene esigue (140 milioni di euro all’anno, soprattutto in vongole e funghi) saranno del tutto bloccate. Tokyo si sente nel mirino della Corea del Nord. «La nostra sicurezza è a rischio - ha dichiarato il capo di Gabinetto Yasuhisa Shiozaki - e non possiamo non reagire», nonostante continuino ad esserci dubbi sulla reale portata dell’esperimento condotto lunedì dall’esercito di Kim Jong Il. Gli esperti asiatici stimano l’esplosione ad almeno 4 kiloton, ma gli Usa insistono: è stata solo di mezzo kiloton. Insomma si sarebbe trattato di un mezzo bluff.


Infondata è risultata invece la notizia diffusa ieri da fonti giapponesi, secondo cui la Corea del Nord ieri mattina avrebbe compiuto un altro test sotterraneo. In mattinata erano stati recepiti degli insoliti «tremori» sismici, ma dopo poche ore l’allarme è rientrato. La seconda esplosione atomica non c’è stata. Non ancora, perlomeno.

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