E Bologna urlò «vade retro, papa»

E Bologna urlò «vade retro, papa»

Per ben due volte ai bolognesi capitò in sorte di essere ambìti da potenze che ne avrebbero cambiato la storia. Per ben due volte i bolognesi le respinsero ferocemente, rivendicando quella libertas costosissima che li relegò a una vicenda minore, poco eroica ma somigliante al suo presente, al suo Novecento, al suo carattere.
Fu un sogno che durò poco, il primo. Soltanto sette anni servirono alla Bologna del Trecento per capire che il potentissimo cardinal legato Bertrando del Poggetto, francese nipote di papa Giovanni XXII, non doveva fare della città la nuova sede papale. Bologna come Avignone? No, risposero i bolognesi. Il papato era stato trasferito in Francia dal 1305 e lo scopo principale dei due primi papi avignonesi fu ovviamente quello di farlo rientrare in Italia. L’Italia era divisa e in lotta perenne, le grandi signorie ne osteggiavano in tutti i modi il ritorno per rafforzare i propri territori, quando Bertrand du Pouget occupò la città al principio del 1327. Sette anni dopo ne fuggì. L’assedio fu terribile, il castello che il francese aveva fatto costruire a Nord della città venne distrutto, i beni che conteneva furono spartiti, il capo della polizia di Bertrando fu squartato e gettato ai cani.
Bertrando fu scortato fuori dalla città da truppe fiorentine; il sogno era finito. Ma quel che ancora sconcerta, a distanza di sette secoli, è la precisione con cui la città cercò di cancellare ogni traccia di quella avventurosa possibilità, che ne avrebbe mutato le sorti. Per questo la preziosa mostra che oggi rievoca quegli anni, «Giotto e le arti al tempo di Bertrando del Poggetto», curata da Massimo Medica e Giancarlo Benevolo, stupisce non soltanto per la presentazione delle opere che restano di quel periodo - una quarantina di pezzi provenienti dai musei di tutto il mondo - ma proprio per la ricostruzione ideale di un’epoca che la volontà cittadina cancellò completamente dalla memoria storica (Bologna, Museo Medievale, fino al 28 marzo).
Un castello quadrangolare a mura merlate, torrioni, fossati e un canale interno: questo il luogo. E Giotto? Un’antica voce trecentesca narra che Giotto trascorresse diverso tempo a discettare col Pouget. La storia che resta porge alcuni avanzi di affreschi per una cappella e un polittico, che dovette peregrinare prima di essere accolto nella piccola chiesa di Santa Maria degli Angeli. Con Giotto era presente lo scultore pisano Giovanni di Balduccio, autore di un fantastico polittico marmoreo, di cui la rassegna offre quattro dei sei frammenti esistenti.

Giotto arriva con un polittico firmato: è fatto a Bologna, è tutto autografo, è per il futuro Papa? Chissà. Certo l’intento è nobile, il lavoro è sontuoso. Una Madonna in trono, un bambino che scalpita nell’alveo del manto blu della madre, che vive e continua a vivere, nonostante i secoli, e quell’antica, furiosa rabbia.

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