«Come Ötzi», anche se si tratta di virus e batteri. Il Wsl (in italiano «Istituto federale per foreste, neve e paesaggio), sede a Zurigo, è uno dei maggiori centri di ricerca svizzeri. Tra le sue tante attività schiera un team di microbiologi che fa quello che è, casualmente, successo in campo archeologico con la scoperta della mummia del Similaun: i suoi ricercatori scavano nel permafrost o tra gli antichi ghiacciai per riportare alla luce microrganismi che le basse temperature hanno conservato per migliaia o decine di migliaia di anni. In modo da scoprire e studiare organismi antichissimi ma per noi nuovi e potenzialmente utili.
Terreno di esplorazione privilegiate sono zone come la Groenlandia o la Siberia, ma anche aree molto più vicine a noi come le Alpi. Qui a creare nuove opportunità è lo scioglimento dei ghiacciai che rende facilmente raggiungibili superfici congelate da tempi immemorabili. Un esempio è il ghiacciaio del Damma, al confine tra i cantoni svizzeri del Vallese e di Uri, a due passi dal Ticino, dove il Wsl conduce da tempo campi di esplorazione e studio, prelevando strati di ghiaccio un tempo sepolti nelle profondità di masse nevose spesse decine di metri, o il terreno sottostante liberato dal riscaldamento climatico.
Anche i precedenti internazionali fanno considerare il campo di ricerca interessante (anche se potenzialmente rischioso). Qualche anno fa per esempio in Alaska sono stati recuperati dei corpi di persone morte per la spagnola e conservate in uno strato di permafrost. Le ricerche hanno consentito di ricostituire la mappa genetica del virus di un secolo fa. Nel 2014 lo scioglimento del permafrost in una zona nel nord della Siberia ha invece riportato alla vita un virus gigante (innocuo per l'uomo) che è stato chiamato Phitovirus Sibiricum e che risaliva a 30mila anni fa. Nel 2016, invece, una novantina di persone sono state ricoverate sempre in Siberia perché lo scioglimento dei ghiacci aveva «liberato» un batterio del carbonchio.
Recuperare virus, batteri, funghi scomparsi consente di studiare strutture e genetiche ormai estinte e di imbattersi in organismi dalle capacità che con il tempo si sono perse e che potrebbe però rivelarsi utili.
Nei laboratori del Wsl, una ricercatrice italiana, Margherita Aiesi (lecchese, studi all'Università di Milano Bicocca in biotecnologia), studia il comportamento di batteri recuperati dai ghiacciai alpini e in grado di sopravvivere in condizioni estreme, grazie alla loro capacità di nutrirsi di particelle di carbonio.
La possibilità che i tecnici vogliono verificare è che questa capacità possa entrare in funzione anche se si tratta di materiali artificiali. La speranza dei tecnici del team guidato dal capo-progetto Beat Frey, è che i batteri contribuiscano a eliminare materiali inquinanti come la plastica.
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