Oscar Eleni
Dovevamo capirlo quando i quattro di Lillehammer hanno portato la fiaccola dentro lo stadio di Torino. Erano orgogliosi dietro al Maurilio, diventato campione dopo essersi giocato la vita cento volte nella caccia non sempre ammessa, ma anche arrabbiati, come sempre e, come accadeva da Seefeld, i mondiali della luce nel 1985, il portavoce del risentimento era the colonel, il Marco Albarello juventino, campione in gara, oggi commissario tecnico di una squadra dove il suo vecio è stato Fulvio Valbusa, dove Giorgio Di Centa ci ha ricordato Vanzetta, il gruppo ispirato dal Piller Cottrer capo branco, spigliato come il suo capo allenatore di oggi, mentre il velocista, il Silvio Fauner dellultimo assalto aveva i capelli violacei di Cristian Zorzi.
Beato il cronista che ha vissuto con questi uomini degli sci sottili, imparando ad amarli quando ad educare tutti era Bengt Hermann Nilsson, istruttore del re di Svezia che costruì il capolavoro olimpico di Nones a Grenoble 1968. Erano litigiosi per natura, gente di montagna che faceva fatica a trovare sponsorizzazioni, attaccata alla vita, gente di cuore, grandissimo, belli da vedere, ascoltare, seguire nel bosco quando erano davvero soli. Dallo svedese che educava alla vita, quando dominavano gli scandinavi e i sovietici mangiavano ogni metro di neve, per passare allalgido Pukkinen e poi, finalmente, ad un maestro di sport valtellinese emancipatosi nello studio a Roma, buon pugile dilettante, il Pollicino Vanoi che insieme allo studioso Gufo DIncal aveva portato alla grande evoluzione nelle tecniche di allenamento.
Con Vanoi nacque davvero la scuola dei fondisti italiani, a cui si abbeverarono anche le grandissime Di Centa, Belmondo e Paruzzi. E De Zolt sul podio della 15 ai mondiali di Seefeld 1985, ancora lui bronzo nella 50, argento per la staffetta, la prima grande squadra. Una semina che portò anche il primo oro mondiale: proprio Albarello sulla neve bavarese di Oberstdorf 1987, nella 15 classica e poi De Zolt nelle sue straordinarie cavalcate sui 50 chilometri. Anni splendidi, litigi meno evidenti, lavoro sempre più accurato. Scioline magiche, polmoni nel fuoco per arrivare al capolavoro di Lillehammer, olimpiadi del 1994, le prime sfalsate da quelle estive, con quella staffetta che divenne davvero storica perché da battere cera la grande Norvegia, perché dopo il lancio di De Zolt, larte di Albarello, la tenacia di Giorgio Vanzetta, toccava al giovane carabiniere Sissio Fauner sfidare il re degli sci sottili, quel Bjorn Daehlie che dominava la scena mondiale. Fu una battaglia a bastoncini alzati, una volata sostenuta da una folla immensa, ricompensa per tutti dopo largento di Albertville 1992, dove Albarello vinse largento della 10 chilometri, De Zolt e Vanzetta furono secondo e terzo nella 50 chilometri. Niente di inventato, dunque, una costruzione paziente, cavalcata nei boschi finita a Nagano 1998 con lultimo bronzo di Fauner nella 30 e largento ancora una volta della staffetta.
Quando hanno smesso di volersi bene è rimasto il cuore, quando Vanoi ha finito il suo straordinario lavoro gli è subentrato proprio Marco Albarello e la famiglia si è separata in casa, lasciando il nuovo tecnico in una pericolosa tundra. Litigi, come sempre, incomprensioni, come sempre, lultima alla vigilia di queste Olimpiadi quando Bubu Valbusa se ne andò dalla Val di Fiemme mentre i suoi compagni vincevano la staffetta in coppa del mondo. Una notte di cattivi pensieri, ma anche di pentimenti per ricompattarsi. Sulla neve di Pragelato Valbusa ha ritrovato il suo posto nellindividuale (13°) mentre Checchi e Santus si mettevano da parte. Bubu cacciatore nel quartetto, a 37 anni, per lultimo assalto e ora sappiamo che tutto ha funzionato davvero bene.
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