E al Manzoni l'avaro Arpagone sa ancora dare lezioni di vita

Il personaggio di Molière interpretato dal genovese Ugo Dighero, in scena anche gli smartphone

E al Manzoni l'avaro Arpagone sa ancora dare lezioni di vita
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Il privilegio dei classici: arrivano spediti come un treno sui binari del tempo e non fanno un minuto di ritardo. Nel senso che restano attuali, pronti a smascherare le piccolezze umane. E proprio con il tempo, le epoche e le immutabili ferite dell'essere umano gioca il regista Luigi Saravo con «L'Avaro» di Molière, in cartellone al Teatro Manzoni da questa sera al 2 marzo. A vestire i panni del taccagno per eccellenza è il genovese Ugo Dighero, veterano del palcoscenico, protagonista di opere di Stefano Benni e Dario Fo, volto noto nella fiction tv e, insieme a tutte queste cose, comico per così dire «stellato». Non a caso scelto da Saravo per un ruolo che richiede, come peraltro tutti gli altri presenti nella pièce, «la capacità di viaggiare sui crinali complicati tra comicità e spessore, tra commedia e tragedia».

La storia è sempre quella del ricco Arpagone, che vorrebbe sistemare la figlia con un altrettanto ricco uomo decisamente maturo, ma senza perderci la dote. Nella messa in scena pensata da Saravo, tradotta e adattata in un nuovo linguaggio più contemporaneo da Letizia Russo, alle tradizioni antiche delle doti e della rigida divisione in classi si accompagnano abitudini e suggestioni contemporanee, come la presenza di spot pubblicitari molto particolari («madrigali antichi che scandiscono opportunità finanziarie»), persino smartphone e costumi e scenografie «che rimandano a un oggi non collocabile in alcun decennio particolare». Il testo, però, è quello classico e, spiega il regista «diverte molto il pubblico, tra cui molti giovani».

Il tema ossessivo è naturalmente quello del denaro, eterno nelle epoche eppure pensato in modo differente a seconda delle regole sociali del momento: «L'ossessione del risparmio, dell'accumulo e del mantenimento degli oggetti di Arpagone, stigmatizzata dalla buona società nell'epoca di Molière si affianca a temi come il consumismo e l'obsolescenza programmata delle cose, soprattutto della tecnologia, nel nostro contemporaneo.

Forse l'unico concetto di mantenimento e cura oggi viene sentito nel tema ambientale», commenta Luigi Saravo. Del suo ruolo centrale, Ugo Dighero dice: «È un personaggio davvero allettante per un attore: saldo nelle sue leggi legate al denaro, ma con un lato debole che è l'amore. Quando si innamora della faccendiera Frosina, che sa manipolarlo, tutto cambia. Alla fine, l'amara verità è che Arpagone non è il personaggio più negativo della situazione: attorno a lui ci sono parassiti ben peggiori. I paradossi continui della storia creano un meccanismo speciale: noi in scena piangiamo sventure e il pubblico in sala ride da matti».

Accanto a Ugo Dighero spicca una compagnia di

altri otto attori per dodici personaggi complessivi, tra cui Mariangeles Torres nel ruolo di Frosina ma anche, en travesti, in quelli dello scaltro servo Saetta, determinato a scoprire dove Arpagone nasconda i suoi tesori.

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