Con l'anniversario dell'11 settembre e il lancio del messaggio di Bin Laden, è arrivato il tempo del bilancio sulla stagione che si è aperta sei anni fa. Per trovare una bussola per il futuro occorre prima comprendere a che punto è il terrorismo islamista, e qual è stata la forza e la debolezza degli Stati Uniti che si sono spesi fino in fondo per fronteggiare l'irriducibile nemico dell'Occidente.
L'interpretazione del messaggio di Bin Laden è concorde. Non solo il capo di Al Qaida è vivo, ma continua anche a volere guidare come il faro dell'Islam integralista l'intero movimento terroristico che si è andato sviluppando, se pure sotto diverse ispirazioni ideologiche e religiose, in tutto il mondo musulmano tentando di penetrare, talvolta con successo, nella stessa Europa. Bin Laden sembra voler dire ai terroristi: «Andate, colpite, fate come meglio sapete fare ma ricordatevi che dobbiamo essere tutti uniti in un'unica strategia centrale riconducibile a me che, solo, posso portare al trionfo della sharia e del califfato».
Per quanto possa sembrare demenziale, l'unità nella varietà del movimento terroristico è la realtà che oggi si pone contro l'Occidente e l'Islam moderato più che a favore di qualcosa di preciso. Una realtà che si è andata rafforzando collegando fenomeni diversi ma convergenti: il regime iraniano, la palude irachena e gli integralisti di Hamas e Hezbollah in Palestina e Libano.
L'altro centro strategico del messaggio terroristico sta nella determinazione di volere entrare direttamente nel gioco politico degli Stati Uniti per fiaccarne le difese verso il nemico. Ne sono prova i suoi riferimenti alle tasse, ai personaggi dell'Amministrazione Bush, all'attuale crisi finanziaria, alla politica dei Democratici e alle personalità del fronte pacifista. L'11 settembre, oltre ad una strage, ha rappresentato anche l'eccezionale strumento di propaganda volto ad avvilire il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, ed a provocare l'abbandono del nostro sistema di vita fondato sulle libertà individuali e il rispetto dei diritti umani. Dopo sei anni, Bin Laden insiste sullo stesso obiettivo: a me pare che nonostante non ci si trovi nel mezzo di uno «scontro di civiltà», gli islamici fondamentalisti fanno di tutto per provocare una guerra ideologica e totale.
Gli Stati Uniti, sotto la guida di Bush, hanno avuto il merito di «avere preso il toro per le corna» dichiarando la priorità della «guerra al terrorismo» con uno straordinario impiego di energie morali, materiali ed umane. Ma, al tempo stesso, sono incorsi in una serie di errori, per così dire tattici, nella conduzione della seconda fase, la guerra in Irak dopo la sacrosanta defenestrazione di Saddam Hussein. Dovremmo seriamente domandarci che cosa l'intero Occidente avrebbe fatto se la nazione così duramente colpita non avesse sviluppato il suo potente apparato militare di intelligence nel tentativo di guidare e coordinare la lotta a scala mondiale.
Certo, gli errori in Irak sono stati madornali così come l'incapacità di riconoscere subito che la gestione di un Paese così disastrato non poteva essere fatta senza il sostegno delle forze locali, più o meno disorganizzate. Ma questa ormai è storia vecchia, ed è probabile che, con il passaggio di presidenza prima e dopo le elezioni del novembre 2008, l'intera strategia per l'Irak sarà riconsiderata.
Rimane tuttavia la questione di fondo. La guerra al terrorismo islamista - nella sua dimensione mondiale, ideologica e pervasiva - resta il nodo del nostro tempo. Chiunque in Europa pensasse, come in passato, che «è passata 'a nuttata», si farebbe una grande illusione. Dopo quelle di Madrid e Londra, non vi sono state grandi stragi in Europa, probabilmente perché si è costituita una rete internazionale di vigilanza capace di prevenire, disattivare e reprimere tutto quello che si profilava all'orizzonte.
Massimo Teodori
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