E il Partito di Dio non disarma ma riempie di nuovo gli arsenali

Mario Sechi

da Roma

«Il limite chiave di ogni guerra è che può confrontarsi con le minacce del presente, ma non può controllare il futuro». La frase è dell’ambasciatore americano Anthony Cordesman, docente di strategia al Center for Strategic and International Studies di Washington. Cordesman è una delle massime autorità in materia e per pesare la minaccia del «Partito di Dio» e capire di quali complicità si faccia forza è istruttivo leggere un suo studio che si intitola «Lezioni preliminari sulla guerra tra Israele e Hezbollah». Subito dopo il cessate il fuoco, si è detto che Hezbollah ha vinto la guerra sul piano mediatico e l’ha persa su quello militare. In realtà, anche leggendo i resoconti dell’esercito israeliano, questa certezza si affievolisce ed emerge un quadro dove Hezbollah è più forte sul piano politico e grazie alla speciale relazione che ha con Siria e Iran può riarmarsi rapidamente. Soprattutto se la risoluzione Onu 1701 viene disattesa e la forza multinazionale non viene impiegata per controllare i confini con la Siria, la vera porta d’accesso delle armi in Libano.
L’esercito di Hezbollah è stato costruito negli ultimi cinque anni grazie ai continui viaggi degli aerei Boeing 747 carichi di armi che decollavano da Teheran, atterravano a Damasco che via terra provvedeva alla consegna finale attraversando il nord del Paese e la valle di Bekaa. È accertata inoltre la presenza in Libano di personale iraniano che ha lavorato in questi anni per sviluppare e mettere a punto il centro di comando e controllo di lancio dei missili Zelzal-2. Si ipotizza addirittura che un centro di intelligence composto da ufficiali di Hezbollah, iraniani e siriani abbia operato a Damasco durante la guerra. Basterebbero queste sintetiche informazioni per leggere il reale significato delle parole del presidente siriano Assad che considera «un atto ostile» lo schieramento di truppe Onu al confine libanese. Piazzare i soldati della forza multinazionale lungo i 375 chilometri del confine costringerebbe la Siria a farsi prudente, a diminuire i trasferimenti d’armi e, di conseguenza, ridurre la sua storica influenza strategica sul Paese dei cedri. Il governo italiano ha cercato di anestetizzare il punto nevralgico del disarmo. Parlarne infatti crea imbarazzo politico, nessuno infatti nell’esecutivo sembra aver preso atto che la guerra appena conclusa ha segnato un nuovo corso della storia. Un non-State actor (Hezbollah), con il supporto di State actors (Iran e Siria) ha condotto una guerra asimmetrica usando un’elevata tecnologia. Durante il conflitto, Hezbollah ha schierato oltre 12mila razzi Katyusha, Fajir-3, Fajir-5 e Zelzal-2, missili terra-aria, anti-nave, anti-carro, aerei senza pilota chiamati Ababil. Tutte, o quasi, armi di produzione iraniana.
La ragione della guerra - e questo i governi europei dovrebbero tenerlo bene a mente durante la riunione odierna di Bruxelles - non è il rapimento dei due soldati israeliani (tra l’altro il loro rilascio non è ancora avvenuto e questo è in violazione della risoluzione Onu), ma la creazione di un sistema missilistico a medio-lungo raggio a disposizione di Hezbollah.

Secondo Cordesman, una delle lezioni più serie che viene dalla guerra in Libano è propria questa: i guerriglieri hanno dimostrato nel confronto con l’esercito israeliano un livello di capacità più alto perché hanno a disposizione armi più sofisticate. Applicate questa lezione a gruppi come Hezbollah, Al Qaida o nazioni come l’Iran, che vogliono cancellare Israele dalla carta geografica, e traete voi le vostre conclusioni.

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