Il dover leggere l'imponente biografia che Mario A. Iannacone ha dedicato allo scrittore inglese Aldous Huxley (Ares, 564 pagine, 25 euro) mi ha spinto a una ricognizione sugli scaffali della biblioteca di casa in cerca dei suoi libri. Huxley è stato uno scrittore prolifico, una cinquantina di titoli alle spalle, in un quarantennio circa di attività: aveva esordito all'inizio degli anni Venti con Crome Yellow, Literature and Science è del 1963, l'anno in cui morì.
Romanziere, saggista, travel writer, ma anche, con minor fortuna e talento sceneggiatore cinematografico nonché commediografo, in ogni campo ha sempre comunque lasciato almeno un segno: I diavoli di Loudun come biografia storica, Il mondo nuovo come romanzo distopico, Foglie secche come conversation piece, Tutto il modo è Paese come letteratura di viaggio
Curiosamente, la manciata di titoli rappresentativi in mio possesso, risalgono tutti agli anni Trenta del Novecento o subito dopo la Seconda guerra mondiale, il che vuol dire che stavano nella biblioteca di casa prima che io venissi al mondo. Huxley ha avuto per lItalia un amore ricambiato: ci ha vissuto, ne conosceva la lingua, è stato tempestivamente tradotto e insomma il periodo fra le due guerre, culturalmente parlando, fu per il nostro Paese più intellettualmente fecondo nonché meno provinciale di quanto si sia poi voluto far credere. La mancanza dell'Huxley postbellico, è invece interamente mia: le utopie non facevano per me, la scienza non mi attraeva, così come i santoni e la meditazione trascendentale, il futuro ancora meno...
Aldous Huxley era un tipico rappresentante di quello che, ancora a fine Ottocento, quando nacque (il 1894, per l'esattezza), sembrava essere la certezza imperiale inglese. Suo nonno paterno, il biologo Thomas Henry Huxley, era l'apostolo del pensiero darwinista, suo padre il direttore della Cornhill Magazine, la rivista fondata da William Tackeray nel 1860. La parte materna allineava figure come Matthew Arnold, poeta e critico letterario, e Humprey Ward, romanziera di successo.
Il giovane Aldous andò a Eton e poi a Oxford e, se si escludono alcuni lutti familiari, la morte della madre quando era ancora studente, il suicidio del fratello venticinquenne Treven, e gravi problemi di salute, una cheratite che gli compromise per sempre la vista, il suo era l'orizzonte agiato quanto ben tracciato di un rampollo dell'upper class britannica.
La Grande guerra mandò quel modo in frantumi, distrusse ogni certezza e significò l'inizio della decadenza dell'impero inglese, scalzato da quello americano chiamato in suo soccorso per mettere fine alla mattanza nel Vecchio continente. Per Huxley, che al fronte non era andato perché inabile al servizio militare per la sua povera vista, il trauma assunse caratteri distintivi: la guerra gli portò via compagni e professori di università senza nemmeno concedergli quella fraternità delle trincee propria ai sopravvissuti della sua generazione, lo radicalizzò nel suo pacifismo e insieme nel suo disgusto per una società che si ostinava a vivere come se nulla fosse successo e tutto dovesse continuare a essere come era sempre stato. Gli anni del conflitto lo videro alle prese con le sue prime prove poetiche, un po' d'insegnamento, lezioni private, qualche cattedra temporanea, la frequentazione assidua del salotto di Lady Ottoline Morrell, a Garsington Manor, l'élite dell'antiestablishment che però dell'establishment, sociale, economico, classista, era l'epitome: ci trovavi il gruppo di Bloomsbury e D.H. Lawrence, Sigfried Sassoon e Bertrand Russell, si era modernisti nel romanzo come in pittura, sessualmente promiscui, agnostici oppure atei... Quando la guerra finì, Huxley cercò di mettere la Manica fra sé e quelli che per lui simboleggiavano la madre patria.
Nella sua biografia, Iannaccone racconta questo periodo in maniera approfondita quanto vivace e sottolinea come già a partire dai primissimi anni Venti, Huxley sia un po' il battistrada inglese di quella che si suol definire la generazione perduta, scrittori che cercavano altrove quello che nel proprio Paese non era possibile trovare: rapporti umani meno ingessati, nessuna ipocrisia, una forma diversa di società, un clima migliore, un cibo degno di questo nome... In quei suoi romanzi, costruiti più o meno sullo stesso schema di conversazioni a più voci e più o meno interminabili in un salotto, intorno a un tavolo, a un party, in città come in campagna, sfila un'umanità oziosa quanto in affanno, fatua nel suo trinciare giudizi, sempre attenta alle mode, infelice senza ammetterlo, noiosa nel suo eterno cicaleccio e annoiata come status esistenziale. Huxley ne sarà il cinico descrittore, sarcastico, sprezzante nel suo mettere in campo superficialità e inadeguatezze di quella classe intellettuale che aveva studiato così a lungo e con cui aveva in fondo convissuto: foglie secche, appunto, come dal titolo di un suo romanzo dell'epoca.
Riletti oggi, sono un po' invecchiati, come spesso capita a chi arriva fra i primi a dissodare un terreno che altri poi coltiveranno meglio, Evelyn Waugh, per fare un solo esempio. Oltretutto a Huxley, per sua stessa ammissione, la forma-romanzo non era congeniale: gli interessavano le idee, non i caratteri, tantomeno le trame...
Come scrive Iannaccone, della società letteraria inglese del suo tempo, Huxley «fu un ospite più che un protagonista». Piano piano, anno dopo anno, il suo sguardo si allargò «all'intera società europea e infine americana e internazionale. Il viaggio in India del 1922 e il tour du monde compiuto in Sudamerica con tappe in Nordamerica del 1933 lo rendono particolarmente insofferente perché percepisce la profonda crisi dell'Europa che non è più quella che era stata per secoli. Cessando di essere quella che era stata, rischiava di diventare qualcosa di peggio, dominata dalle tecnoscienze in mano a pochi».
Il punto si svolta sarà Il mondo nuovo, che è una favola distopica del 1933 e probabilmente il suo libro più famoso, una società pianificata in nome del razionalismo produttivistico, un benessere schiavo del progresso, lì dove ogni emozione e ogni sentimento sono banditi...
Da allora in poi, il suo interesse di scrittore si amplierà e Iannaccone coglie molto bene le intuizioni, spesso profetiche, presenti nei suoi libri successivi: «la tecnologia senza etica, lo strapotere delle multinazionali, lo svuotamento degli stati nazionali, l'avanzamento del nazionalismo, il decadimento delle democrazie, le armi come motore dell'economia, l'olocausto nucleare, la crisi ecologica, la dittatura mediatica». Sotto questo aspetto, Huxley resta un nostro contemporaneo e il suo interesse per yoga, spiritismo, dianetica, sostanze psichedeliche hanno contribuito a mantenere intorno al suo nome una popolarità a cui spesso non ha fatto da contraltare una reale conoscenza dei suoi scritti.
Due anni prima di morire, un incendio scoppiato in un angolo delle colline di Hollywood dove aveva finito per stabilirsi, gli bruciò la casa con dentro tutti i suoi libri, le sue carte, i suoi ricordi.
«Sono un uomo senza passato» disse a un suo amico e quel fuoco distruttore, osserva Iannaccone, è «quasi metafora del suo percorso esistenziale», una spasmodica ricerca di un qualcosa che sostituisse il mondo di ieri, un pugno di cenere come risultato finale.
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