Sul fatto che i dazi all'import e all'export di merci siano da evitare non c'è dubbio. Il fatto è che le recenti decisioni del presidente americano Donald Trump di imporne di nuovi di acciaio, alluminio e su un altro migliaio di prodotti provenienti dalla Cina per un controvalore annuo stimato di 60 miliardi di dollari, ha fatto dimenticare che tutti (ma proprio tutti) i Paesi del mondo hanno barriere all'ingresso di merci «indesiderate». I dazi sono, in pratica, uno degli strumenti presenti nella cassetta degli attrezzi di tutti gli Stati del mondo che li usano per difendersi da dumping, da modalità commerciali scorrette oppure semplicemente (e più spesso) per difendere la propria industria da prodotti stranieri che potrebbero danneggiare la propria industria.
Prendiamo l'Unione europea, che ha dato l'immagine di una maestrina che bacchettava indignata Trump per i nuovi dazi cercando di spiegargli che i sacri testi del liberalismo impongono il libero commercio sempre e ovunque. L'Unione europea ha in essere attualmente circa 90 dazi sui prodotti provenienti dall'estero. Nel grafico in queste pagine, elaborati dal sito di data journalism Truenumbers.it che ha tratto le informazioni dai documenti ufficiali del Wto (World Trade Association) sono indicati i 30 dazi più importanti. Svetta quello sul tabacco: quello proveniente dall'estero e che vuole entrare in Europa deve pagare una sovrattassa all'ingresso pari a ben il 44,7% del valore. Una misura decisa per difendere i produttori di tabacco delle aree depresse della Spagna e dell'Est Europa. Guarda caso sono le stesse motivazioni per le quali Trump ha deciso i dazi su acciaio e alluminio: difendere i produttori nazionali. Con la differenza che l'Europa fa finta che non sia così mentre Trump lo dice esplicitamente senza vergognarsene.
L'Europa, poi, impone dazi anche sui preparati di carne e di verdura, sul malto, sull'abbigliamento, pesce e perfino sui tappeti. Perfino l'ultraliberale Gran Bretagna non disdegna di porre dazi alle importazioni. Su quali prodotti? Birra e vino, soprattutto, anche in questo caso per non danneggiare il produttori nazionali. Nel grafico in queste pagine è indicato quanti miliardi di sterline il governo di Sua Maestà conta di incassare ogni anno dai dazi su solo questi due prodotti. Quest'anno il governo incasserà 4,3 miliardi di sterline dai dazi sul vino e altri 3,7 miliardi da quelli sulla birra per un totale di 8 miliardi l'anno pari a 9,1 miliardi di euro. Altro che economia liberale.
Con questi numeri è davvero difficile che l'Europa possa insegnare qualche cosa di liberale ad altri Stati, meno che mai agli Stati Uniti che, esclusi gli ultimi decisi dall'Amministrazione (e che il Wto non ha ancora registrato) colpisce con il dazio più elevato il latte e derivati: la sovrattassa è del 16% che è quasi 3 volte inferiore rispetto al dazio europeo sul tabacco, sul quale gli Stati Uniti impongono un dazio molto inferiore, 15%.
Sempre stando ai dati del Wto anche la Cina non scherza con il tabacco: il dazio all'ingresso è 23,2%. Le sovrattasse all'ingresso più alte Pechino le applica, però, ad altri prodotti: zucchero (27,4%) e cereali (23,7%). Dall'imponente muro all'ingresso dei prodotti stranieri il governo di Pechino incassa ogni mese 3,3 miliardi di euro, circa 40 miliardi in un anno.
Ma non è tutto così semplice: in realtà i dazi sono spesso giustificati da accuse di pratiche commerciali scorrette rivolte al Paese che si vuole colpire: esattamente l'argomento usato da Trump per giustificare i nuovi provvedimenti. Il Dipartimento per il Commercio Usa ha, infatti, ben 97 procedimenti in essere contro «pratiche commerciali scorrette» cinesi mentre la Cina ne ha solo 19 contro gli Usa.
Da notare che sempre gli Usa hanno in piedi ben 20 procedimenti contro l'Unione europea: significa che i rapporti commerciali tra i due grandi blocchi dell'Occidente non sono affatto così tranquilli come sembra. Se c'è una guerra commerciale, cioè, anche l'Europa la sta combattendo, usando le stesse armi che non vorrebbe venissero usate dai suoi avversari.
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