Ecco la casa che scompare «Si inabissa sottoterra e ci salva dagli uragani»

Sempre più numerosi. Sempre più violenti. Tsunami, cicloni, tornado. Spazzano via vite e speranze. Si possono prevedere, forse, ma si può far ben poco per limitarne i danni. Se solo Obama e McCain trovassero il tempo per leggere l’incartamento che un italiano, Giancarlo Picarazzi, ha inviato loro scoprirebbero che il mezzo c’è. E potrebbero persino aggrapparsi a questo mezzo per avere un appeal in più sugli elettori, nel rush finale della loro corsa per la Casa Bianca. Perché il nostro uomo, emulo di Leonardo e dei suoi mirabili marchingegni, pigiando un pulsante risolverebbe tutto. Clic: e la casa sparisce sottoterra. Un altro clic e la casa torna su, integra come prima del passaggio del flagello atmosferico.
Lui non molla. Anche se non è ingegnere. «Le intuizioni geniali - obbietta - non le hanno avute, la storia insegna, solo i tecnici». Prova e riprova. Coi modellini in scala e le simulazioni che hanno riempito centinaia di fogli di calcolo e da disegno. E gli hanno regalato mille e una notte insonne.
Settant’anni, una vita spesa a Milano in una celebre multinazionale come responsabile del controllo gestionale e adesso la voglia di ricominciare daccapo con la laurea in economia e commercio, che sta per prendere, e l’invenzione che può rivoluzionare l’esistenza sua e di molti altri...
«L’ho chiamata Disappearing Building, ovvero la casa che sparisce. Sparisce nel terreno. Una casa a prova di cataclisma. Brevetto internazionale WO 2006/100698 A1. Vedere sul sito della World Intellectual Property Organization, l’ente mondiale che tutela le opere dell’ingegno che abbiano determinati requisiti di fattibilità...»
E la sua casa che sparisce all’arrivo del Katrina di turno ha questi requisiti?
«Certo che ci li ha. Il progetto è ambizioso ma il meccanismo è semplice: un sistema a cremagliera o oleodinamico, lo scavo sotto la casa, dove di solito trovano posto il box o lo scantinato, che diventa una sorta di tasca dove la casa cala dentro all’arrivo delle avversità atmosferiche. Non ho pensato ad una soluzione cervellotica ma a quattro binari ai quattro angoli dell’edificio che, non solo lo tengono in equilibro, ma lo fanno scendere e salire perfettamente in asse. Una volta entrata nel terreno la casa viene chiusa ermeticamente da un tetto-coperchio che la preserverebbe dalle infiltrazioni. Visualizzate il coperchio della scatola delle scarpe per intenderci. Un tetto sarebbe in ferro, anche per una funzione tagliafuoco in caso di incendi. Passato il tornado o l’alluvione, la casa viene fatta tornare in superficie dal meccanismo. È il principio della piscina ma al contrario. Nella piscina non deve uscire l’acqua, nella casa che scompare non deve entrare. Oggi si realizzano i grattacieli che ruotano su se stessi, una casa così in confronto è una sciocchezza...».
Immagino voglia farci dei soldi con la sua invenzione anche perché il brevetto le è costato...
«Se la mia idea verrà applicata per fini umanitari non chiederò royalties. Ho pensato a questa soluzione dopo la tragedia di New Orleans con quel migliaio di persone morte solo perché non volevano abbandonare la casa, unico patrimonio che avevano. Ecco questa idea è per quelli come loro in ogni angolo del mondo».
Perché l’ha proposta al presidente Bush e ai due candidati in corsa per la Casa Bianca?
«Ho inviato loro il progetto perché il problema è drammaticamente sentito negli States, non dimentichiamo che McCain ha dovuto rinviare il congresso repubblicano per l’arrivo dell’ennesimo uragano. Per questo motivo avevo fatto avere un abstract della mia invenzione anche al premier Berlusconi, nei giorni scorsi, alla vigilia del suo viaggio a Washington, perché ne parlasse al suo amico Bush. Se l’Italia può offrire una soluzione a questa minaccia costante per gli Stati Uniti e i Paesi dell’area caraibica ci potrà essere solo un bel ritorno di immagine per la nostra creatività».
Ma lei ha già realizzato il suo «Disappearing building»? Così, giusto per sapere se funziona.
«Ho preparato dei modelli in scala e funzionano. La controprova del test si avrà solo con un prototipo e l’aiuto di un ingegnere, ma per realizzare un prototipo ci vogliono dai cinquanta ai centomila euro. Un piccolo imprenditore non se la sente di investire questo denaro, per questo ho pensato all’amministrazione americana. La ricostruzione di New Orleans e di altre zone devastate da calamità naturali è l’occasione migliore per testare questo tipo di soluzione. Si potrebbe cominciare proprio dagli edifici pubblici come le scuole, i posti di emergenza, gli uffici comunali. Ma la mia invenzione trova altre applicazioni ideali come soluzione ecologica e di sicurezza».
Insisto: chi ci assicura che, una volta riemersa, la casa non sia ridotta ad un cumulo di fango?
«Con il tappo o meglio il tetto ermetico non si corre questo rischio.

Per quanto riguarda la discesa e la risalita della casa con i materiali, leggeri ma affidabilissimi che abbiamo già a disposizione sul mercato, tipo il legno che impiega una notissima ditta di prefabbricati, tra l’altro già impegnata nella ricostruzione di New Orleans, possiamo stare tranquilli».
E anche asciutti?
«Soprattutto asciutti, certo».

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