Como - L'abbraccio liberatorio. Che arriva a esorcizzare i fantasmi dell’ennesima paura. La paura di essere fraintesi, di venir anche solo sfiorati dall’ombra del dubbio. La paura di trovarsi senza l’amico di famiglia che, in questi mesi, è diventato, giorno dopo giorno, anche il loro sostegno. Perché l’amico di famiglia, di Andrea e Elena Frigerio e del loro papà, Mario, è il loro avvocato: Manuel Gabrielli. E così, quando, in apertura dell’udienza, il presidente Bianchi dichiara «manifestamente inammissibile e superflua» la testimonianza del legale, chiesta dalla difesa di Olindo e Rosa per tentare di imboccare la strada delle contraddizioni e dell’inattendibilità delle prime dichiarazioni, rese dall'unico sopravvissuto all'eccidio e raccolte al suo capezzale proprio da Gabrielli, è come se Elena e Andrea pareggiassero i primi conti con la giustizia. È come se incassassero e suggellassero con quell’abbraccio a tre, con l’amico di famiglia, la loro prima, personalissima sentenza.
Ieri l’abbraccio, avant’ieri un bacio. Un bacio candido e dolcissimo sulla guancia rigata dalle lacrime della sorella. Un bacio che Andrea ha regalato a Elena con lo slancio di un fratello ancora una volta costretto a consolare. Anche se ha un disperato bisogno di venire consolato. Perché nei racconti in aula rivede l’agguato mortale alla madre Valeria Cherubini, l’aggressione feroce, alla quale è miracolosamente sopravvissuto il padre Mario. Il tormento, il dramma di Elena e Andrea si consuma nelle retrovie, in questo processo. Come nelle retrovie si è consumato per tutta questa assurda storia di sangue e di odio. Lontano dalle telecamere e dai fotografi. Lontano dai cronisti del festival circense dello scoop. Che hanno deciso di ignorare i due fratelli perché fanno poco o niente notizia. Perché forse un morto e un ferito grave, che poi sarebbero una madre morta e un padre mezzo morto, sulla strana bilancia dei delitti e delle pene pesano meno delle altre vittime. O perché, forse, questi resti di una famiglia spezzata in «una fase imprevista e improvvisata di necessità omicida», per dirla con le parole del pm Astori, non hanno mai perdonato, non perdoneranno mai. Perché, forse, al contrario dello spiazzante Carlo Castagna loro sono più, come dire «normali» nella loro normalissima scelta. «Non potremo perdonare i mostri che hanno cambiato la vita della nostra famiglia perché quell'11 dicembre non si sono solo spente quattro vite, ma si sono fermati i cuori di molte altre persone», è l'unica frase che è uscita dalle loro labbra. «Ciò che proviamo o pensiamo- ha scritto in una lettera Andrea lo terremo sempre per noi, come sempre abbiamo fatto, insieme a mia sorella e al mio papà perché alla fine il dolore è e deve essere, per noi, un fatto privato, e poi non crediamo sia così importante sapere cosa proviamo noi. In fondo siamo persone semplici, a cui è capitata una tragedia più grande di loro e che stanno lottando e lotteranno tutta la vita per cercare di affrontarla con dignità, bontà e un sorriso sincero per tutti come ha vissuto una persona meravigliosa, come nostra mamma Valeria, che sono sicuro ci aiuterà come ha fatto per tutta la vita».
Fratello e sorella. L'altra coppia così tremendamente normale e diversa di questo processo. Composta nella dignità. In aula come nella nuova vita che Elena a 39 anni e Andrea a 35 devono percorrere in salita. Davanti alla Corte risuona quella frase: «C'è mia moglie, mia moglie, su», che Mario Frigerio riuscì a dire con un filo di voce, indicando con un dito le scale, al primo soccorritore, nel disperato tentativo di salvarla.
«Erano una cosa sola, una famiglia unitissima: Valeria estroversa, entusiasta, compensava Mario, schivo - ricorda l'avvocato Gabrielli- e poi fra Elena e la madre, che l’aveva partorita a 16 anni c’era un rapporto di amicizia, di complicità». Ma adesso fratello e sorella hanno solo un pensiero: proteggere un papà scampato per un soffio alla morte. Che tiene un foulard al collo. Per nascondere lo squarcio della gola e del cuore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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