Ecco come funziona lo stipendio «padano»

Affascina la «busta paga padana». Sono anni, almeno una quindicina, che il Senatùr e i suoi ministri lo vanno ripetendo: la vita al Nord non costa come al Sud. Il pane, così come un paio di pantaloni costano più al Nord che al Sud. L’Italia degli stipendi uguali, ma dal diverso potere d’acquisto, va quindi urgentemente ripensata, rilancia Umberto Bossi, sulla scia degli ottimi risultati ottenuti nella recente tornata elettorale. Con in più un avviso ai naviganti: «Attenzione, i lavoratori vogliono i soldi in busta paga e non vogliono lasciarli allo Stato».
Se quindici anni fa tutto ciò poteva sembrare una mera provocazione della Lega, oggi è un proposta concreta, che per sintetizzarla con le parole di Rosi Mauro, vicepresidente del Senato e segretario del Sindacato padano, può efficacemente definirsi «federalismo dei contratti».
Siamo ancora ai preliminari di uno studio di fattibilità, confermano gli economisti della Lega, già al lavoro in Parlamento, ma la bozza del nuovo stipendio «verde», che non lasci al verde, parte dai dati pubblicati nei mesi scorsi dalla Padania che andiamo ad illustrarvi.
Preso come medesimo riferimento, nella busta paga attuale e nella busta paga padana territoriale, una retribuzione lorda, comprensiva degli oneri di 1.750 euro, che significa quindi una retribuzione lorda annuale per 13 mensilità di 22.750 euro, la Lega propone un primo correttivo: passare dalla imposizione contributiva attuale del 40 per quell’importo, ovvero 9.100 euro, ad una contribuzione nazionale, nella busta padana, del 10 per cento. Pari quindi a 2.275 euro, che porterebbe la retribuzione imponibile nazionale a 20.475 euro. Con un’aliquota fiscale media del 5 per cento (contro il 20 dell’attuale) che si tradurrebbe in 1.023,75 euro contro gli attuali 2.730.
Perché il 5 per cento? Perché la Lega nella sua busta tipo pensa di sdoppiare, naturalmente a favore del lavoratore, il tortuoso e soffocante percorso delle trattenute. In quale modo? Con una contribuzione regionale del 20 per cento che si tradurrebbe in 4.550 euro con una conseguente retribuzione imponibile di 15.925 euro che determinerebbe un’aliquota fiscale regionale di 796,25 euro. Se avete bisogno di riprendere fiato nella giungla dei numeri non perdete di vista il concetto di fondo di questo «federalismo dei contratti»: la volontà esplicita di Lega e di leghisti di versare meno tasse allo Stato per lasciarne di più alle regioni in cui si vive e si lavora. Detto questo un riepilogo ci sta bene. Con il sistema attuale, partendo da una retribuzione lorda annua di riferimento di 22.750 euro abbiamo una contribuzione di 9.100 euro, una tassazione di 2.730, per arrivare ad un netto in busta annuale di 10.920 euro e a un netto in busta mensile, per tredici mensilità, di 840 euro. Con la «busta padana territoriale» partendo sempre ovviamente dai famosi 22.750 euro, il lavoratore andrebbe incontro ad una contribuzione nazionale di 2.275 euro, ad una aliquota fiscale nazionale di 1.023,75 euro, una contribuzione regionale di 4.550 euro all’aliquota fiscale regionale di 796,25 euro. Per un totale di 14.105 euro netti in busta all’anno, equivalente ad un netto in busta mensile per tredici mensilità di 1.085 euro.
La differenza c’è e si vede, dunque. Le «gabbie salariali non sono affatto acqua passata. Sono un’acqua ferma che ha bisogno di essere rimessa in circolo» dice e ribadisce ancora Rosi Mauro, alludendo al famoso controverso meccanismo che fu abolito esattamente quarant’anni fa.
E aggiunge: «Chiamiamole come volete, ma le gabbie vanno reintrodotte perché il contratto nazionale non rappresenta più il Nord e il Sud e bisogna avere il coraggio di riformarlo».
Una tesi suffragata anche da un recentissimo studio del Sole24Ore secondo cui un edile milanese guadagna in media 1.478 euro lordi invece dei 1.651 euro che sarebbero invece necessari per pareggiare il costo della vita in questa provincia. Accollandosi di fatto una «tassa occulta» di 173 euro mensili che su base annua fanno 2.249 euro cioè una mensilità e mezza. Scendiamo a Campobasso e scopriamo invece che lo stesso edile dovrebbe percepire 1312 euro con un «guadagno» di 166 euro su base mensile pari a 2.

158 euro l’anno. Conti alla mano, dunque, i conti non tornano, quando si guardano i cartellini dei prezzi percorrendo l’Italia da Nord a Sud. E il rischio che il più semplice dei panini risulti indigesto, per il momento, rimane.

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