Mentre a Napoli un funerale vero era disertato da tutti, a Catania e Messina due funerali «falsi» vedevano la partecipazione di centinaia di persone. Il funerale vero riguardava il trasporto al cimitero di Secondigliano di Gaetano Doria, la prima vittima dell'influenza A in Italia. Per lui nessun fiore e manifesto a lutto, giusto il tempo di una benedizione impartita da don Raffaele. In chiesa quattro persone, neanche Doria fosse morto di peste. «In quarant'anni non ho mai visto un funerale del genere», ha commentato il sacerdote.
A Catania, nello stesso momento, più di cinquecento professori precari accompagnavano una bara, che voleva simboleggiare la scuola pubblica italiana; stessa cosa avveniva a Messina, con quattrocento persone.
E mentre le spiagge d'Italia vanno lentamente svuotandosi, a Palermo insegnanti precari si radunavano in mutande davanti all'ufficio scolastico. Il perché di questa esibizione era spiegato in un cartello: «Ci hanno lasciati in mutande».
L'anno scorso, di questi tempi, gli slogan erano: «La Gelmini mangia i bambini», e «O scioperate o vi bocciamo», intimidazione dei professori agli alunni. Ai quali fu anche dato il tema: «Che cosa pensi del ministro». Poveri ragazzi. Un tempo il «panierino» era l'allegro contenitore della merenda, l'anno scorso, professori di Bari lo usarono per metterci volantini anti-Gelmini, da far leggere a casa.
Eppure, secondo un'inchiesta promossa dal nostro quotidiano (ottobre 2008), fra 400 studenti delle scuole medie superiori, pronti a scendere in piazza contro la riforma, venne fuori che la metà non sapeva neppure chi fosse la Gelmini. E sentite queste: c'è chi pensava che maestro unico significasse un solo maestro per tutta la scuola; che dopo il tutor per le elementari arrivasse il professore unico anche per il liceo; che lo stipendio degli insegnanti dovesse dimezzarsi; che sarebbero sparite le lezioni di inglese; eccetera.
In piazza, l'anno scorso, scesero (furono fatti scendere, dai genitori o dagli stessi maestri) perfino i bambini, alcuni dei quali reggevano un cartello con su scritto: «Maestro unico = pensiero unico». Povere creature, marxiste molto prima di mettere il molare del giudizio, anzi con ancora i denti di latte.
Da quando esiste la scuola esistono le contestazioni: di genitori, di alunni e di professori. E gli slogan. Del tipo: «Ucci ucci ci mangiamo la Falcucci» «Con simpatia la Moratti a Nassiriya» «Via Fioroni, siamo noi i padroni», ma i professori sfilavano in corteo in giacca e pantaloni, in maglione alla dolce vita, in camicie a mezze maniche, ma non in mutande. Con quale faccia, infatti, si sarebbero poi presentati in classe, davanti alla scolaresca? Oggi invece le mutande vanno di moda, anche in aula, come testimoniano le professoresse squillo, prima fra tutte quella di Lecce.
Nessuno vuole riesumare il vecchio professore di liceo, coi baffi all'insù e l'aria grave, né i maestri del libro Cuore: Coatti, un omone dalla voce possente, che minacciava sempre di portare i ragazzi in questura, se solo si azzardavano a far chiasso; l'insegnante di ginnastica, che aveva fatto il soldato con Garibaldi e portava con orgoglio sul collo la cicatrice di una ferita di sciabola subita durante la battaglia di Milazzo; la maestrina dalla penna rossa, giovane, con in testa un cappellino con una gran penna rossa; la «Monachina», così chiamata perché vestiva sempre di scuro, con un grembiale nero, e pare stesse pregando.
No, nessuno vuole (può) riesumare queste figure, anche se un po' di nostalgia ci prende, ma professori in mutande, boxer, slip, tanga o costumi da bagno, no, non li vogliamo per i nostri figli.
E saremmo disposti anche a scendere in piazza per gridarlo. Vestiti di tutto punto, naturalmente. E addirittura in frac.
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