Ecco come l'Austria si fa beffe del fisco italiano

A Innsbruck, a pochi chilometri dal confine, le banche srotolano tappeti d'oro a chi vuol depositare soldi nei loro forzieri. "Altro che Svizzera, qui il segreto bancario è garantito dalla Costituzione"

Ecco come l'Austria 
si fa beffe 
del fisco italiano

Il dottor Thomas è uno stoccafisso in giacca blu e capelli biondo pannocchia, un convitato di pietra immobile e muto dietro la linda scrivania. Me l’ha passato al telefono due giorni fa una gentile centralinista della Bank Fur Tirol und Voralberg di Innsbruck. «Attendere preko, io passare responsabile clienti italianen». Non è una grande conversazione. Io accenno al mio galeotto conto svizzero, lui mi blocca come se gli proponessi un colpo a Fort Knox. «Prego non dica altro, meglio parlarne di persona, su vostri cellulari qualcuno sempre ascolta, venga a trovarmi e vediamo cosa fare».
Quarantotto ore dopo e 450 chilometri in auto da Milano, eccomi nel suo candido ufficio al secondo piano della Bank Fur Tirol und Voralberg di Innsbruck. Lui, il dottor Thomas, è un bolzanino assunto e piazzato da queste parti per gestire la clientela italiana. Non un lavoretto da quattro soldi. Qui in Tirolo, come pure nella Carinzia affacciata sui confini friulani, i soldi degli italiani fanno gola quanto e più che nell’elvetico Canton Ticino. Qui, secondo i dati ufficiali della Banca nazionale austriaca, i depositi dei nostri concittadini ammontano a 1 miliardo 399 milioni di euro. Ma sono conti in difetto, statistiche depurate dei capitali d’impresa di cui si ignora l’ammontare e di quelli non segnalati dagli istituti più “distratti”. I conti ufficiali vanno dunque almeno raddoppiati e rappresentano un’altra ingente porzione di ricchezza sottratta al controllo del fisco nostrano. Non a caso qui a Innsbruck ogni banca che si rispetti ha una sezione dedicata a noi italiani.
Mentre fingo di voler unire anche i miei risparmi a quei patrimoni fuori controllo, il dottor Thomas mi squadra con becera diffidenza. «Sa - recito io - ho questi 3 milioni di euro, 3 milioni e 600mila per la precisione, tutta roba lasciatami dal mio povero papà, lui diceva: non toccarli mai, questi saranno la tua sicurezza, tienili in Svizzera e non sbaglierai... Ma erano altri anni, la Svizzera era sicura... Oggi non mi fido più».
Il dottor Thomas mi ascolta ma non concede più di qualche benevolo grugnito. Ha solo 31 anni, ma ha già imparato a diffidare. E fa bene. Quando oggi leggerà questo articolo o si guarderà la puntata di “Speciale Tg 1 L’Inchiesta” capirà che una microcamera nascosta gli ha sottratto parole e immagini. Ma per ora sono solo un aspirante cliente. Così, dopo avermi ascoltato, alza la mano e detta l’unica regola d’ingresso al grande gioco. «Mi scusi, ma lei come è arrivato a me?». La risposta l’ho studiata. «Dai, dottor Thomas, non mi faccia ridere, mette il suo nome su internet e poi chiede a un cliente come l’ha trovata, la sua banca è di quelle che offre consulenza agli italiani». Quella risposta banale si rivela il semplice, ma efficace abracadabra per spazzare l’ultimo paravento di riservatezza. «Bene signor Ruggeri, allora è nel posto giusto, se cerca qualcosa di diverso dalla Svizzera, qualcosa meno nell’occhio del ciclone, l’Austria è un’ottima scelta. Qui da noi il segreto bancario resiste. Qui, grazie al cielo, non è ancora cambiato niente... Il segreto c’era e resiste ancora».
Mentre snocciola quelle rivelazioni, l’austero banchiere sembra un oracolo illuminato dalla gioia della profezia. Io, in cambio, annuisco con l’entusiasmo di un malato terminale dinanzi a un farmaco miracoloso e corro al dunque. «Quindi, se invece di fare lo scudo fiscale trasferisco i risparmi dalla Svizzera all’Austria non spendo una lira e sono al sicuro?». Thomas deglutisce, ti guarda con la faccia di un bimbo accusato di rubar l’elemosina. «Be’, non voglio suggerirle di non fare lo scudo, ma siamo entrambi italiani, sappiamo come vanno le cose nel nostro Paese, se fai lo scudo metti il nome su una lista... Certo sarebbe segreta, ma magari domani cambia il governo, ti arriva un nuovo ministro e si mette a controllare tutti i nomi... Qui invece il segreto è una cosa seria, molto più seria che in Svizzera. Qui il segreto bancario è regolato della Costituzione... Per eliminarlo o cambiarlo ci vuole il voto di due terzi del Parlamento. Gli svizzeri invece potrebbero cancellarlo dall’oggi al domani perché il loro segreto è una semplice legge bancaria».
Io lo ascolto estasiato, poi, alla prima pausa, gli spiattello i dubbi esistenziali di un autentico detentore di gruzzoli esteri. Gli ricordo che la Guardia di Finanza dà la caccia agli esportatori di valuta direttamente nelle filiali svizzere, gli chiedo lumi sulla legge dello scorso settembre con cui il Parlamento austriaco sostiene di essersi adeguato alle leggi europee. Il dottor Thomas manco si scompone. «Mi creda, da settembre ad oggi per i nostri clienti è cambiato ben poco. Quella legge non significa nulla. Qui da noi la Guardia di Finanza può anche bussare, ma non otterrà mai niente. Qui, per avere risposte, devono presentare delle richieste così concrete da scoraggiare chiunque. La storia degli ultimi dieci anni fa testo. Quando in Italia hanno processato alcuni nostri clienti per truffa, evasione fiscale, fatture false o reati simili nessuno è mai venuto a chieder nulla alle banche austriache e sa perché? Perché questa non è la Svizzera o il Ticino, qui si parla il tedesco e le cose sono molto più complicate».
A spiegarti in maniera assai chiara quelle questioni «assai complicate» ci pensa un altro concittadino di Bolzano, responsabile stavolta della clientela italiana della Tiroler Sparkasse. «La legge votata a settembre dal Parlamento serviva solo a far uscire l’Austria dalla lista grigia dell’Ocse, ma non ha cambiato il segreto bancario. Grazie a quella legge l’Austria ha stipulato 12 accordi bilaterali con altrettanti Paesi come richiesto dall’Ocse, ma s’è scelta Paesi economicamente irrilevanti per le sue banche, come la Corea del Sud o il Lichtenstein. Si è guardata bene, invece, dal sottoscrivere accordi con l’Italia o la Germania. Grazie a quella legge l’Austria non è più sotto sorveglianza internazionale, ma allo stesso tempo continua a non avere alcun accordo con il governo italiano o tedesco». Il dottor Roberto è il vero guru dei depositi italiani. Su internet gira una sua brochure in cui spiega ai nostri risparmiatori tutti gli arcani del segreto bancario austriaco e invita gli italiani a «non farsi intimorire dalle notizie dei media» colpevoli di aver dato per morto anche il segreto bancario austriaco. «La tutela della sfera privata dei nostri clienti continua ad essere garantita e resta il nostro principale interesse», ricorda in quel volantino diffuso su internet lo zelante custode dei depositi affidatigli dai nostri connazionali. Così, quando vado a trovarlo e gli espongo il mio triste caso di esportatore di valuta in procinto di divorzio, mi guarda come un condannato a morte. «Se sua moglie tiene gli occhi sul suo patrimonio e i suoi soldi sono in Svizzera, allora rischia grosso. Un mio cliente una volta divorziò e dimenticò un estratto conto nella casa lasciata alla moglie. Per gli avvocati fu un gioco da ragazzi farsi consegnare mezzo patrimonio estero.

Ricordi due cose: fare lo scudo fiscale significa mettere il proprio nome su delle carte, mentre lasciare i soldi in Svizzera significa rischiare. La tranquillità austriaca è per lei la garanzia migliore di non ritrovarsi costretto a fare un grosso, inatteso regalo a sua moglie».

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