Roma - «Non parlo di Berlusconi». L’annuncio di Luca Barbareschi innova il panorama televisivo italiano, dove si è solo pro o contro Berlusconi. Tertium non datur, se si vuol andare in onda. Ma Barbareschi ci andrà egualmente da stasera alle 21.10, su La7. E con me aggiunge: «Non parlerò nemmeno degli avversari di Berlusconi. Semplicemnte il programma Barbareschi sciock non inviterà politici».
Par condicio?
«Anche, ma soprattutto perché non li ho previsti».
Onorevole, lei è onorevole...
«Sì, esco ora dal Parlamento e ci torno fra poco, visto il momento delicato della questione giustizia».
Non finga di non capire.
«Alla Camera faccio il politico; in tv, il buffone».
Qualche suo collega si confonde talora. Ma ci sarà chi invocherà coerenza: o politico sempre o buffone sempre.
«Pazienza. Fra i parlamentari ci sono persone che erano cattivi medici, cattivi avvocati: per lo più si rivelano anche cattivi parlamentari. Io rivendico la capacità di far bene cose diverse».
Far bene tv da parlamentare significa, per alcuni, che anche in tv si rispettino direttive politiche.
«Improbabile che questo sia il mio stile. Lei ricorda ai dibattiti sulla pedofilia, sulla banda larga, sul Fus, sui tagli agli investimenti tv?».
Sì.
«E allora ricorderà che mi sono distinto dalla linea del mio schieramento».
Pochi badano al Parlamento, tanti badano al televisore.
«Nel mio programma si parlerà della cosa - kantiana - in sé».
Chiarisca, la prego.
«Entrerò nel merito delle cose, prenderò posizione».
E se queste posizioni saranno sue, non del partito, non ci saranno ritorsioni del medesimo, specie in campagna elettorale?
«Rivendico il diritto alla provocazione, chiedo spazio per l’intelligenza. E sarò ancora una volta super partes».
Lei lo fu, come regista e protagonista de «Il trasformista». E deluse le due partes. Senza nemmeno essere ancora deputato...
«Che cosa le devo dire allora? Che mi rassegno a fare un doppione di Porta a porta o degli antagonisti di Porta a porta?».
Prevedo solo che l’aspetteranno coi fucili puntati. Tutti.
«È possibile, ma questo non cambia le mie intenzioni. Ma perché mi mette in guardia?».
In una tv mi piazzarono fra Tizio e Caio. Mi dissero che erano della «mia» parte politica. Io non ero della loro e quella tv non m’ha più invitato. E nemmeno le altre.
«Conosco questa logica, io sono come lei. Barbareschi sciock sarà super partes. Avrà una chiave ironica, non sarà giornalismo d’assalto, non...».
Non mi elenchi che cosa non sarà. M’accenni a che cosa sarà, per favore.
«Condurrò interviste provocando l’intervistato, instaurerò un clima diverso. Sarò appunto il buffone, che trilla davanti a re Lear, davanti ad Amleto. Ormai si sa che il re è nudo».
Si sa?
«Sono decenni che comici e comici si arricchiscono con le solite invettive, prima contro Craxi, poi contro Berlusconi».
Ma diceva che di lui non parlava...
«Nel programma. Non sono ancora in onda!».
Poco fa, nella conferenza stampa, lei s’è stupito per i tanti giornalisti.
«Sì, perché quando ho presentato i miei film, sono venuti sempre quattro gatti».
Il cinema pesa meno della tv. Ma anche sul cinema si fa politica politicante. Del finanziamento pubblico ai cinepanettoni che cosa pensa?
«Abolirei i premi ministeriali. Ci dovrebbe essere solo un rapporto con le banche. Fa così il cinema americano ed è il migliore da almeno cinquant’anni».
Certa Italia è in lutto per «Baarìa» senza nomination. Lei no.
«Nel cinema migliore di Hollywood ci sono film diversissimi, da Avatar, che tutti ora vedono, a Cinque pezzi facili, a Conoscenza carnale, a Taxi driver, che comunque molti hanno visto».
Dunque?
«Il problema dei cinepanettoni non è la loro volgarità. È che muoiono in Val d’Aosta!».
Incornati dagli stambecchi? Travolti dagli sciatori? Sepolti dallle valanghe?
«Sa bene che cosa intendo... Questa comicità funziona solo in Italia».
Arbasino diceva che tanti italiani non avevano mai fatto una gita a Chiasso.
«Appunto. Fuori Italia vanno magari altre bellissime cose, come le scarpe di Della Valle, che pure si fanno a Firenze».
Oppure...
«Ci vanno come i disegnatori di cartoni animati che lavoravano per Guido Manuli e che ormai sono passati alla Pixar. Ciò spiegherebbe perché Avatar sembri uno storyboard (sceneggiatura illustrata) di quest’ultimo».
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