Ecco il "nuovo" progetto di Vendola e Bersani: riesumare il "morto" Pci

Vogliono riunificare il Pd e Sel dopo le svariate scissioni che dal Partito Comunista ai Democratici di sinistra a Rifondazione hanno traghettato i loro partiti fino a qui

Ecco il "nuovo" progetto 
di Vendola e Bersani: 
riesumare il "morto" Pci

Il più felice sarà forse il senatore Ugo Spo­­setti, ultimo, leggendario tesoriere di Bot­teghe Oscure nonché, secondo un’accre­ditata leggenda metropolitana, custode della più ampia collezione al mondo di cimeli della storia del Pci. È stato proprio lui, del resto, ad organizzare «Avanti po­polo », la mostra-evento del gennaio scor­so sul 90˚ anniversario della scissione di Livorno: e oggi il popolo, a sentire le ulti­me indiscrezioni, ha ripreso a marciare alla riscossa. Sembrerebbe infatti - e Maria Teresa Me­­li, che ne ha scritto sul Corriere , è fra i più au­torevoli e informati cremlino­logi italiani - che Goffredo Bettini, l’inventore di partiti che già fece da braccio destro a Veltroni, abbia avuto una nuova idea: rifare il Pci. Cioè unificare il Pd e Sinistra e li­bertà in «un unico grande campo, un campo largo in cui ci potremo ritrovare tutti». Chiosa Fausto Bertinotti,spon­s­or di parte vendoliana dell’ini­ziativa: «Dobbiamo costruire un nuovo grande soggetto poli­tico che trovi il suo approdo nel socialismo europeo». La proposta, a dire il vero, non è nuovissima: la avanzò tra i primi Piero Sansonetti, quando ancora era il direttore (vendoliano) di Liberazione , e in tempi più recenti l’ha fatta propria Nicola Latorre, vice­presidente dei senatori del Pd nonché grand’ufficiale dale­miano. Anche Leoluca Orlan­do, oggi con Di Pietro, sarebbe della partita. Insomma,sono tutti d’accor­do anche se ieri sono fioccate le smentite. Vendola e Bersani per ora tacciono, ma il primo ha già proposto gruppi parla­mentari unificati nella prossi­ma legislatura, e il secondo s’è detto d’accordo. Tace anche Veltroni, ma Nicola Zingaretti, astro nascente del partito,e po­l­iticamente vicino all’ex sinda­co di Roma, sarebbe entusia­sta: e anzi del novello Pci po­trebbe persino essere un otti­mo segretario, tanto più che di Nichi Vendola era, a metà de­gli anni Ottanta, il compagno di banco nella segreteria della Federazione giovanile comu­nista. Ricucire le scissioni, di per sé, è una buona notizia per la politica, che esce sempre inde­bolita dalla frammentazione. Se per esempio il Pci e il Psi avessero ricucito la loro scis­sione, quando crollò il Muro di Berlino, probabilmente ci saremmo risparmiati l’intera Seconda repubblica. Il crollo del socialismo reale, invece, generò un’ulteriore spaccatu­ra, tutta interna al Pci, fra i po­stcomunisti di Occhetto, D’Alema e Veltroni che fonda­rono il Pds (poi Ds) e i neoco­munisti di Cossutta e Bertinot­ti che diedero vita a Rifonda­zione ( fra loro anche Vendola, giovane deputato comunista della Puglia). Da quella frattura discendo­no molti dei guai del centrosi­nistra italiano: fu infatti Berti­notti a far cadere il primo go­verno Prodi, nell’autunno del ’98, e dieci anni dopo furono due senatori di Rifondazione a far cadere il secondo. Proprio per chiudere una volta per tut­te i­rapporti con la sinistra radi­cale, i cui voti servono forse per vincere le elezioni ma inva­riabilmente finiscono per far perdere i governi, Veltroni nel 2008 decise che il Pd si sarebbe presentato agli elettori da so­lo, senza Bertinotti e senza Dili­berto. Vinse Berlusconi, ma i democratici superarono il 33% dei voti e la sinistra radica­le non entrò neppure in Parla­mento. Oggi la situazione si è capo­volta, e Nichi Vendola, che il 9 ottobre 1998 era tra quei depu­tati che fecero cadere il primo governo di sinistra della storia d’Italia perché volevano la set­timana lavorativa di 35 ore, di­s­pone oggi di una forza pari al­meno ad un terzo di quella del Pd ed è in grado di condizio­narlo in molte situazioni- chia­ve, come si vede ad esempio a Milano (a proposito: quel gior­no del ’98 a votare contro Pro­di c’era anche Giuliano Pisa­pia).

Il paradosso non sta soltan­to in questa straordinaria, ed evidentemente patologica ten­denza della politica italiana a non distogliere mai lo sguardo dal proprio ombelico e a proce­dere s­empre rigorosamente al­l’indietro; e non sta neppure nella sindrome di Stoccolma che spinge ogni volta i riformi­sti a­d offrirsi come gonzi alle si­rene rivoluzionarie: il parados­so è che questo partito, se mai nascerà, tutti sanno che non andrà oltre il 33% dei voti, co­me il Pd di Veltroni (2008), co­me i Progressisti di Occhetto (1994), come il Pci di Berlin­guer ( 1976). E dunque saremo da capo: bisognerà trovare un nuovo alleato, con cui magari fare una nuova unione, a cui eventualmente offrire la lea­dership, per poi progettare in­sieme un nuovo partito...

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