Il tarlo dell’11 settembre ci è entrato nella testa. Un tumore maligno che riappare a ogni nuovo e devastante attentato come quello di Oslo. Per automatismo puntiamo subito il dito contro la follia stragista di Al Qaida, senza neppure pensare che al posto del fondamentalista islamico votato alla guerra santa ci si possa imbattere in quello cristiano pronto ugualmente a tutto.
Anders Behring Breivik, l’unico attentatore norvegese per ora catturato, che su Facebook accusava i giovani musulmani britannici di essere in gran parte emuli di Al Qaida, ha copiato perfettamente chi odiava.
Oslo sembrava Kabul, dopo l’esplosione dell’autobomba nel centro della capitale. La distruzione era la stessa solitamente provocata dai terroristi rimasti orfani di Osama bin Laden. Anche l’esplosivo, ricavato dal fertilizzante, è quello utilizzato negli attentati in nome del jihad in Europa, da Madrid a Londra. Non solo: l’attacco era multiplo con il colpo di scena del cecchino. Breivik ha sparato su un isolotto, addirittura a dei ragazzini, con cinica ferocia e fredda organizzazione, a cominciare dalla divisa da poliziotto che indossava. Lo stesso avevano fatto i talebani all’hotel Intercontinental di Kabul, a fine giugno in Afghanistan.
A far riemergere il tarlo dell’11 settembre ci ha pensato pure un avvoltoio del terrore in rete, che ha rivendicato l’attacco di Oslo a nome del terrorismo internazionale. Poi la rivendicazione è sparita, ma era scritta ad arte per collegare i veri pericoli jihadisti nei paesi scandinavi. Non è un’invenzione la cellula del terrore islamico scoperta un anno fa a Oslo, che pure aveva comprato fertilizzante e voleva mettere a segno un attacco devastante. Per non parlare delle minacce reali ai paesi scandinavi grazie alle vignette satiriche su Maometto e ai 400 soldati norvegesi in missione in Afghanistan.
Neanche l’arresto di un cecchino biondo ha spazzato via del tutto i sospetti sullo zampino di Al Qaida. I nuovi e più pericolosi emissari del terrore jihadista sono i convertiti o i giovani europei, anche norvegesi, addestrati nelle aree tribali pachistane. Qualcuno di loro è stato arrestato al ritorno a casa, altri sono morti combattendo in Afghanistan.
Pure il presidente americano, Barack Obama, è stato influenzato dal tarlo dell’11 settembre e nelle prime dichiarazioni sembrava propendere per la pista internazionale. Il premier norvegese, subito dopo l’attacco nel centro di Oslo, è stato trasferito in un luogo sicuro, i soldati si sono schierati nelle strade e le autorità hanno abolito temporaneamente Schengen per controllare meglio le frontiere. In pratica è scattato il piano per una minaccia esterna, stile Al Qaida, affinato da tutti i paesi europei dopo l’11 settembre. Un automatismo dettato dal fatto che l’intelligence occidentale, compresa quella di Oslo, negli ultimi dieci anni combatte soprattutto il terrorismo di matrice jihadista, che ha seminato morte e distruzione in mezzo mondo, compresa l’Europa.
La psicosi del nemico islamico è fortissima, in parte motivata e in qualche maniera messa nel conto. I sopravvissuti dell’attentato di Oslo hanno subito parlato di 11 settembre. Quando si è cominciato a capire che si trattava di un nemico più subdolo, di una serpe in seno è stato un secondo shock. I terroristi non sono più diversi da noi per origine, pelle, cultura e religione, ma come noi nati e cresciuti nello stesso paese, con le stesse tradizioni. Gli Stati Uniti ne sanno qualcosa con la strage di Oklahoma city del 1995. Breivik, che mescolava i videogame di guerra ai film sulla battaglia delle Termopili, deve aver pensato veramente di essere una specie di Rambo anti stato.
Qualcuno, fondamentalista come lui, l’avrà aiutato a imitare i terroristi islamici che tanto odiava con un 11 settembre alla rovescia, in miniatura e fai da te, ma altrettanto sconvolgente.
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