Ecco il segreto del Nord est che traina il Paese

L’Istat certifica che il Triveneto resta la locomotiva d’Italia con una crescita del Pil nel 2010 del 2,1 per cento, superiore a quella del resto del Paese. E questo grazie allo spirito di sacrificio dei suoi abitanti che di fronte alla crisi si sono rimboccati le maniche

Ecco il segreto del Nord est che traina il Paese

Ciò che va bene per la Fiat va bene per l’Italia, teorizzava Gianni Agnelli. Dalle ultime sti­me dell’Istat si può concludere che se va be­ne il Nordest va bene l’Italia. Il Triveneto è sempre stato la locomo­tiva che traina la ripresa dopo un ciclo di crisi. Ma quel 2,1% di crescita del Prodotto in­terno lordo conquistato nel 2010 dall’area geografica più sana del Paese, contro una media nazionale del­l’ 1,3%, dice molto. Una diffe­renza dello 0,8%, se ci si fer­ma all’apparenza. In realtà la percentuale d’incremen­to che intercorre fra l’1,3 e il 2,1 è pari a un +61,54. Il che, in tempi di vacche magre, ha del miracoloso. Il Nor­dest guida la classifica da­vanti al Nordovest, cioè a Lombardia e Piemonte, do­ve il Pil è cresciuto del­l’ 1,7%.E anche qui valela pe­n­a d’osservare che la percen­tuale d’incremento fra l’1,7 e il 2,1 equivale a un ragguar­devole +23,53. Com’è stato possibile? La ricetta che i veneti applica­no, di fronte alle avversità, ri­mane sempre la stessa, fin dai tempi della Serenissi­ma: sacrificio. Con sacrifi­cio trassero dalle acque pa­ludose della laguna, dove s’erano rifugiati sotto l’incal­zare dei barbari, quel merlet­to che è Venezia. Con sacrifi­cio sono passati nell’arco di una sola generazione dalla pellagra al benessere. Con sacrificio sono riusciti a far sì che il tasso d’occupazione nella loro regione rimanes­se praticamente invariato nonostante la crisi: dal 50,8% del 2009 al 50,5% del 2010. Nella contabilità dei posti di lavoro perduti va in­cluso il numero sproposita­to di imprenditori che han­no preferito il sacrificio su­premo, quello della loro stes­sa vita, all’onta di un falli­mento: ben 18 suicidi negli ultimi due anni, perché, co­me ha osservato Andrea To­mat, il presidente della Con­findustria veneta costretto ad attivare un numero verde per assistere i colleghi in dif­ficoltà, «c’è un legame quasi filiale tra il proprietario e l’impresa che diventa parte di una famiglia allargata». Il Nordest ha reagito alla gelata planetaria riscopren­do la sua antica vocazione: la terra. E infatti il settore agricolo ha fatto segnare nel Triveneto un incremento del Pildell’1,5%, mezzo pun­to in più della media nazio­nale. Una riconversione sug­ge­rita per primo da Rhett Bu­tler, quando in Via col vento esortava la capricciosa con­sorte: «Trai la tua forza da questa terra, Rossella. Tu ne sei parte ed essa è parte di te». Certo non dev’essere un caso che in piena crisi gli elettori abbiano voluto ri­chiamare a Venezia da Ro­ma un ministro dell’Agricol­tura di origini trevigiane per insediarlo a Palazzo Balbi come governatore. Il piano di sviluppo rurale, col quale la Regione Veneto ha messo a disposizione degli agricol­tori 1,1 miliardi di euro fino al 2013, ha fatto subito rad­doppiare le domande da par­te di giovani pronti a scom­mettere sui campi. È un se­gnale incoraggiante, se si considera che un terzo del­l’umanità non sta producen­do nulla di utile, si dedica unicamente alla manuten­zione del denaro. Qui non si parla solo di finanzieri, ban­chieri, banca­ri, agenti di cambio e spe­culatori di Bor­sa: si parla di quei 33 dipen­denti su 100 che in qualsia­si industria so­no adibiti a quantificare at­traverso grafi­ci e numeri che cosa fan­no gli altri 67. Occupazione apparente, ap­punto. Eppure, no­n ostante l’Istat abbia sciolto a festa le sue campa­ne, la Maran­gona che ai tempi della Re­p­ubblica Vene­ta chiamava al lavoro falegna­mi e carpentie­ri, dal campa­n­ile di San Mar­co a Venezia come dalla Torre dei Lam­berti a Verona, annuncia più mesti rintoc­chi. Nel primo trimestre di quest’anno le vendite al det­taglio nel Veneto hanno su­bìto una flessione dello 0,7% rispetto allo stesso peri­odo del 2010. E il commer­cio al dettaglio dei prodotti alimentari è calato del 5,8%, segno che in molte famiglie il sacrificio passa anche at­traverso i buchi nella cintu­ra dei pantaloni. Stando a un’indagine del­la Fondazione Nordest sulla congiuntura, che ha coinvol­to un migliaio di imprendito­ri di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adi­ge, le previsioni sui risultati economici del primo seme­stre 2011 sono addirittura meno ottimistiche rispetto alla seconda parte del 2010. Solo il 30,8% del campione (l’anno scorso era il 36,2%) si aspetta una crescita della produzione, mentre il 25,3% (contro il 22,9% del 2010) prevede una flessio­ne. Il vero prodigio resta quel +2,1% del Pil su base annua mentre gli ordinativi non si discostano di molto dal peri­odo nero della crisi e i credi­ti, sempre più difficili da in­cassare, evaporano spesso in fallimenti e concordati. Il denaro non circola. I Comu­ni virtuosi, che avrebbero a disposizione i fondi per pa­gare i fornitori, ritardano o bloccano i pagamenti in os­sequio al patto di stabilità, alle procedure contro i ri­schi di infiltrazioni mafiose e alle mille altre cavillosità inventate dalla finanza cen­trale. Chi ha un posto di lavo­ro se lo tiene stretto e si adat­ta ben volentieri allo straor­dinario che fino all’altrieri snobbava. E tuttavia capita pure che decine d’industrie siano alla ricerca di figure specializzate, per esempio i tornitori, e non le trovino. Nel frattempo, anziché im­piegare tutte le loro energie per rendere sempre più com­petitive le aziende e creare nuovi posti di lavoro, gli im­prenditori veneti, già quoti­dianamente alle prese con tasse, imposte, canoni, agi, accise, concessioni e contri­buti vari, sono costretti a oc­cuparsi dell’ordinaria buro­crazia, che in queste settima­ne ha preso le sembianze dei pompieri. Gli adempi­menti per la prevenzione de­gli incendi li obbligano a no­minare un responsabile, a valutare i rischi, a predispor­re i piani d’emergenza, a for­mare gli addetti, a controlla­re i cartellini appesi agli estintori. Obblighi sacrosan­ti, per carità. Poi magari arri­va un ispettore dei vigili del fuoco che, anziché aiutarli a orientarsi, si limita ad ap­pioppargli sanzioni da 21.000 a 80.000 euro.

Varrebbe la pena di tenta­re un esperimento: lasciare che il Veneto si autogoverni in completa autonomia per 24 o 36 mesi, come fece per più di un millennio prima dell’invasione napoleonica. Forse, oltre alla tecnica per incrementare il Pil, la più longeva repubblica mai esi­stita nella storia dell’umani­tà potrebbe insegnare qual­che altra virtù alla sorella na­ta nel giugno di 65 anni fa.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica