Ecco il Vauro che il "Corriere" non pubblica

Ecco il Vauro che il "Corriere" non pubblica

La vignetta che vedete qui sopra ieri è stata oggetto di un «caso». Non del caso del giorno, perché ormai di casi ce ne sono, ogni giorno, in quantità industriale. Ma comunque di un caso: Vauro, l’autore, l’ha mandata al Corriere della Sera, giornale con il quale ha - da sedici anni - un contratto di collaborazione; e il Corriere non l’ha pubblicata. Vauro l’ha presa male. Ha parlato di censura. Censura berlusconiana, naturalmente, perché oggi in Italia non c’è censura che non sia dettata dal Grande Dittatore che tutto controlla.
La vignetta la potete vedere e giudicare da voi stessi. Allude evidentemente allo scandalo del momento, scandalo che con geniale sforzo di fantasia la nostra categoria ha catalogato - e, ahimè, consegnato alla storia - come «Puttanopoli». Perché Vauro gridi allo scandalo è evidente: vuol dire che di certe cose, sul Corriere, non si può parlare.
Ferruccio de Bortoli, il direttore del quotidiano di via Solferino, gli ha risposto che la sua non è stata affatto una scelta politica ma di stile: semplicemente, la vignetta è «di dubbio gusto». E gli ha ricordato, a dimostrazione del fatto che al Corriere non c’è alcuna censura sull’argomento, «che la notizia cui si ispirava la vignetta (l’inchiesta di Bari) è stata pubblicata per primo, e in esclusiva, dal Corriere della Sera».
Premesso che un direttore di giornale ha il diritto di pubblicare o non pubblicare ciò che crede - non è la prima volta che una vignetta, o un articolo, finiscono nel cestino - vanno fatte, ci pare, un paio di considerazioni generali.
La prima è che sulla libertà di stampa s’è ormai consolidato una sorta di diritto parallelo che esclude la satira da ogni vincolo. Con le vignette, o con la gag di un comico, si può dire ciò che si vuole: che un tale è un ladro, che un tal altro è un pedofilo, che la moglie di chi ci sta antipatico sente sempre più necessaria la presenza di un idraulico in casa quando il marito è in ufficio. Nulla e nessuno sono al riparo dalla satira: si può anche scherzare sui morti del terremoto, come abbiamo visto. Mi domando che cosa accadrebbe se questa zona franca fosse estesa, oltre che alla vita dei professionisti della satira, a quella della gente comune. Chiunque di noi potrebbe dare dello stronzo o del cornuto al proprio capo salvandosi poi con un provvidenziale: ma va là che stavo scherzando.
La seconda considerazione è questa. Al di là di quel che si possa pensare sulla decisione del direttore del Corriere - il giudizio non ci compete - ci domandiamo se non sia satira anche l’affermare che oggi in Italia non si può sparlare di (e «sparare» su) Berlusconi. Davvero vogliamo pensare che ci sia in questo momento un black out sull’inchiesta che riguarda le cene e i dopo cena di Berlusconi? Diciamolo pure: ma è una battuta che fa più ridere di qualsiasi vignetta.
Detto tutto ciò, noi oggi Vauro lo salviamo. Abbiamo contestato spesso i suoi disegni: ma questo ci pare fra i meno violenti di quelli usciti dalla sua penna. Tanto che, appunto, lo pubblichiamo.
E se lo pubblichiamo noi, che veniamo spesso apostrofati come «giornale di famiglia», vuol proprio dire che la censura su Berlusconi esiste solo nella testa di chi da anni grida al regime.

Benvenuto sulle nostre pagine, quindi, caro Vauro: siamo sicuri, sicurissimi, che anche Berlusconi questa volta si farà una risata. E mai come adesso c’è bisogno di spezzare la tensione, almeno ogni tanto, con qualche liberatorio ah ah ah.

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