Ecco la verità sull'evasione

Mancano all'appello 120 miliardi. Nelle regioni del Nord le tasse si pagano, al Sud invece si arriva a frodare il Fisco fino all’85%. Anche la Toscana nel libro nero

L’evasione fiscale in Italia è una cifra enorme, pari a 8 punti di Pil. Oltre che far perdere denaro al fisco, genera rilevanti distorsioni economiche, dà una immagine della ricchezza italiana inferiore al vero, con conseguenze negative per la nostra credibilità finanziaria, comporta tassi bancari più alti perché le garanzie patrimoniali degli operatori economici sono inferiori a quelle vere, oscura il divario effettivo fra Nord e Sud, genera sperequazioni fra il tenore di vita di chi paga le imposte e di chi le evade. In parte le evasioni dipendono però da norme irragionevoli, che andrebbero modificate, come quella che chi è in pensione ed è in tarda età è tenuto a pagare contributi previdenziali sul lavoro che svolge, anche se non potrà mai percepire la relativa ulteriore pensione. Il tema dell’evasione è amplissimo, c’è tutta la materia dell’edilizia non censita. E c’è il problema delle persone che evadono l’Irpef e altre imposte tramite i paradisi fiscali. E ci sono le evasioni dei contributi sociali e quelle con il lavoro di extracomunitari clandestini. Temi molto grossi. Ma ce n’è uno più grosso di tutti, quello dell’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, l’Iva, che dà un gettito del 6% del Pil. L’evasione è stimata al 33-40% dell’imponibile, vale a dire fatto 100 il volume vero si paga l’Iva solo su 60-66 mentre il restante 40-33 non paga. Se tutti pagassero l’Iva non renderebbe il 6% ma il 9-10% del Pil. Qui c’è più del 50% dell’evasione e da qui si dirama anche l’evasione delle altre imposte. E da qui bisogna partire, per il contrasto sistematico a chi non paga le tasse. Prodi e Visco avevano escogitato un sistema di controlli vessatorio e inefficace perché troppo macchinoso, poi abrogato, che consisteva nell’obbligo di pagare con bancomat o carta di credito o assegni non trasferibili ogni somma, superiore a 100 euro, per prestazioni soggette ad Iva. Ciò comportava di abolire l’uso del contante e complicava inutilmente la vita. La norma utile riguarda gli importi che non si usano pagare in contanti, salvo per scopi di evasione. Le persone più evolute e più dotate di credito smettono il contante per somme come 400 o 500 euro. Per i soggetti meno evoluti e quelli ignoti, di cui non ci si fida la soglia sale. Ma sopra i mille euro non si usa, di norma, il pagamento in contanti. Da qui dovrebbe cominciare l’obbligo di pagare con assegni non trasferibili e con carte di credito o bancomat. Questa regola va accompagnata dal controllo fiscale dei conti bancari. Nella normativa di Visco e Prodi poi non utilizzata, si stabilivano controlli fiscali dei conti bancari sia dei privati che delle imprese e dei soggetti di lavoro autonomo. Il controllo fiscale di tracciabilità dei pagamenti va concentrato sul conto bancario dei soggetti Iva, stabilendo che ciascuno di essi deve avere un conto esclusivamente dedicato all’attività tassata su cui versa i proventi Iva e a cui imputa gli acquisti fatti con Iva. In tal modo che il suo registro Iva avrà un riscontro integrale ed esclusivo in tale conto. Inoltre questo conto bancario (o postale) deve essere, in tempo reale, visibile nel cervello elettronico del fisco ed essere pertanto contraddistinto oltre che con le coordinate bancarie, anche con la partita Iva del suo titolare. Così il fisco può consultare questi conti da sé. Ciò anche per evitare che la Guardia di finanza vada nelle banche a guardare i conti di Tizio o di Caio. Però il contribuente avrà diritto a esibire questo conto come prova della veridicità del suo fatturato e dei suoi costi, anche di fronte a «studi di settore» discordanti. Accanto alle non fatturazioni, attualmente pullulano le fatturazioni fittizie, fatte con operazioni inesistenti di ditte finte, le cosiddette cartiere cioè ditte che fabbricano fatture che servono per detrarre costi finti, anziché produrre beni o servizi. Una parte dei costi che una ditta o un lavoratore autonomo sostiene non riguardano pagamenti per acquisti con Iva, ma pagamenti per interessi passivi e per compensi di lavoro a persone fisiche. Ma il fisco è in grado di distinguere i conti dei soggetti Iva dagli altri e riesce facilmente a individuare quelli che si riferiscono a banche. Così il fisco, sulla base dei pagamenti fatti dai soggetti Iva ad altri soggetti Iva, potrà capire se questi versano Iva corrispondenti ai pagamenti che hanno ricevuto o sono pure fabbriche di fatture.

Non credo che il sistema di tracciabilità supportato da conti bancari dedicati, che ho indicato e che è ampiamente adottato altrove potrà essere applicato con effetti immediati miracolosi. Ma questo è il momento giusto per attuarlo.

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