La Germania domina la classifica dell'Unione Europea per gli aiuti di Stato anche nel 2023. E la notizia non dovrebbe fare scalpore perché negli ultimi anni è sempre stato così: ma le decisioni estive della Commissione Europea sugli schemi di aiuti di Stato promossi dai governi comunitari e su cui Bruxelle sha dato un sostanziale via libera riflettono una sostanziale incoerenza di fondo tra la volontà di Berlino, e in particolar modo del "falco" delle Finanze Christian Lindner, di stringere le maglie sul rigore con un nuovo Patto di Stabilità vecchio stampo da un lato e la spinta a chiedere sempre più attivi aiuti di Stato per le politiche economiche dall'altro.
Già nel 2022 su una quota complessiva di 540 miliardi di euro di aiuti di Stato approvati dall'Unione Europea, il 49,3% è stato assorbito dalla Germania, che superava di gran lunga il 29,92% della Francia, seconda in classifica, e staccava in maniera abissale il 4,73% dall'Italia, terza in graduatoria. Ora sono disponibili i dati per il framework di allentamento delle regole sugli aiuti di Stato aperto dall'invasione russa dell'Ucraina che ha reso più agile per i Paesi membri dell'Unione Europea aprire a sussidi ai settori chiave per l'energia, la transizione e il trasporto di risorse e materie prime, oltre che gli schemi di finanziamento del debito delle imprese in perdita. Secondo un'elaborazione de Il Messaggero, 741 miliardi di euro di aiuti sono riconducibili a questo nuovo schema: "dal marzo 2022 ad oggi l'esecutivo Ue ha adottato oltre 320 decisioni, dando il suo ok a 275 misure nazionali notificate dai 27 Stati membri", col 48,5% del valore complessivo di operazioni assorbito dalla Germania, che in questa classifica aggregata più che doppia la Francia (22,5%) e, soprattutto, è prima non solo nel valore assoluto ma anche in quello in rapporto al Pil.
Tra le ultime misure di aiuti approvate dall'Ue alla Germania, un sussidio da 6,5 miliardi per compensare le industrie penalizzate dall'Emission Trading System, una misura di compensazione carbonica prevista dall'Unione. A cui si aggiungono un finanziamento da 2 miliardi di euro, 550 dei quali a fondo perduto e il resto in prestito agevolato, a ThyssenKrupp per la decarbonizzazione del settore dell'acciaio, 40 milioni per la costruzione di un terminal di gas naturale liquefatto a Brunsbuttel e 3 miliardi di euro per il finanziamento alla produzione di pannelli, batterie e altri beni per la transizione green mediante prestiti agevolati e sussidi a Pmi e aziende tedesche. Oltre 11,5 miliardi di euro, 10,1 dei quali in termini di aiuti diretti federali, con cui la Germania rafforzerà il mercato: e parliamo solo delle misure approvate dal 19 luglio in avanti.
Berlino ha destinato da marzo 2022 a oggi il 9,3% del suo Pil in aiuti, un fatto che secondo Il Messaggero "fa storcere il naso a diverse rappresentanze diplomatiche di stanza a Bruxelles, le quali lamentano una corsa in ordine sparso agli aiuti di Stato che finisce per premiare i Paesi con maggiori margini di manovra di bilancio. Come, per l'appunto, la Germania". E c'è il timore che il gioco del governo di Olaf Scholz sia volutamente complementare per favorire un vantaggio competitivo alla Germania. Una regola europea sugli aiuti di Stato disomogenea che non dà limiti allo spazio di manovra di ogni singolo Paese e dunque permette ai Paesi con più margine di distorcere, di fatto la concorrenza interna con sussidi a pioggia non è, dal punto di vista di Berlino, incoerente con l'idea di un Patto di Stabilità ultra-rigido quale quello su cui i falchi nordici, Germania e Olanda in testa, lavorano. Con questa mossa la Germania avrebbe assicurate le logiche della supremazia europea: da un lato imporre ai Paesi ad alto debito sentieri certi di rientro col taglio proposto di un ventesimo del debito l'anno cristallizzerebbe il ritorno del rigore. Dall'altro sarebbero favoriti sul mercato i Paesi a rapporto debito/Pil più basso, che potrebbero dunque convergere nel sussidiare, a pioggia, le proprie aziende.
Tornerebbe dunque l'applicazione selettiva delle regole cara a Berlino prima della pandemia di Covid-19, quando la Germania era attenta a censurare il bilancio dei Paesi terzi e a farsi paladina delle regole di bilancio in merito al rapporto debito/Pil, salvo violarle sistematicamente sul tema del rapporto tra surplus commerciale e Pil, ben vicino alla doppia cifra in termini percentuali. Per questa ragione a febbraio Giorgia Meloni e il governo italiano hanno frenato sulla volontà europea di una fuga in avanti sugli aiuti di Stato non controbilanciata da una certezza di un nuovo Patto di Stabilità anti-austeritario. Misure maldisegnate, disse Meloni allora, avrebbero potuto "mettere a repentaglio l'unità dell'Europa" distribuendo inegualmente oneri e onori delle politiche economiche.
In una fase di crisi strutturale della sua economia, la Germania prova a giocare a suo favore in maniera smaccata e plateale. Nulla di illegittimo, anzi: la costruzione dell'Europa premia, da tempo, la legge del più forte e Berlino può permettersi queste ipocrisie, segno della sua centralità politica e strategica nell'Unione. Che però non si è, in passato, trasformata in un rafforzamento corale e collettio dell'Europa, quanto piuttosto in una tendenza della Germania a estrarre benessere e ricchezza al Vecchio Continente.
Sarà così anche questa volta? Molto dipenderà dalla battaglia politica sul Patto di Stabilità destinata ad aprirsi in autunno. Ove l'Italia e i Paesi mediterranei dovranno essere ben chiari su un dato di fatto: al rigore non si può tornare. Pena il trionfo della troppo spesso dannosa tendenza tedesca all'ipocrisia politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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