Uno scenario internazionale frammentato caratterizzato dallo stop definitivo all’espansione del libero commercio che aveva caratterizzato il trentennio precedente al 2016 e da una “globalizzazione frammentata” caratterizzata da “venti contrari” e dalla necessità di grandi spese per far fronte alla crisi climatica e alla transizione ecologica, senza però dimenticare il contrasto all’inflazione che colpisce le fasce deboli della popolazione. Questi i temi toccati dall’economista Michael Spence, premio Nobel per l’Economia nel 2001 e docente presso l’Università Bocconi, durante il suo intervento presso l’Npl Meeting di Villa Cernobbio, un evento sponsorizzato da Banca Ifis che ha riunito i maggiori operatori del settore del recupero dei crediti deteriorati. Per aiutarci a comprendere meglio a cosa sta andando incontro il mondo, abbiamo chiesto a Spence alcuni chiarimenti su cosa ci aspetta nei prossimi mesi a livello macroeconomico e geopolitico.
Professore, la Banca Centrale Europea e la Federal Reserve americana hanno scelto una via molto diversa nel combattere l’inflazione. Mentre quest’ultima ha deciso di mettere in pausa l’aumento dei tassi d’interesse, la Bce ha varato il decimo aumento. L’Europa è destinata ad andare in recessione?
Certamente è possibile, ma l’area euro deve far fronte a più venti contrari. Certo attualmente nessun’area economica sta avendo grandi performance ma bisogna tenere presente della diversa situazione anche per i costi dell’energia, maggiori in Europa. Le decisioni quindi si spiegano per i diversi segnali, credo che anche la Fed, qualora la situazione inflazionistica pegigori, ripartirà con i rialzi. Così interpreterei la pausa decisa in questo mese.
Sempre riguardo alla situazione statunitense, al momento l’amministrazione Biden sta cercando di vendere agli elettori la Bidenomics, un nuovo approccio rispetto agli anni del reaganismo e del cosiddetto “consenso neoliberale” che prevede un maggiore ruolo della spesa pubblica. Sta funzionando?
Difficile dirlo specie dal punto di vista politico, ma dal punto di vista economico la novità non è tanto l’uso della spesa pubblica durante una crisi economica, che già c’e stata nel recente passato (il riferimento è al discusso pacchetto di stimoli varato dall’amministrazione Obama nel 2009, NdA), ma non c’era questo spinta massiccia sulla politica industriale. Ci sono stati questi due importanti provvedimenti, l’Inflation Reduction Act del 2022 e l’Infrastructure Investment and Jobs Act del 2021, che prevedono un impegno pluriennale di larghi investimenti in diversi settori economici. Penso che l’approccio scelto sia equilibrato e con scelte oculate per le presenti condizioni (il piano di rinnovo infrastrutturale è stato votato anche da diciannove senatori repubblicani, NdA), perché c’è bisogno di andare verso una transizione energetica, dobbiamo rimanere al passo con la Cina in varie aree tecnologiche come la produzione di chips e di semi-conduttori e quindi occorre restaurare almeno in parte una base produttiva sul territorio americano, perché finora la maggior parte di queste fabbriche, con proprietà provenienti da varie nazioni, erano sul territorio di Taiwan, una posizione fortemente a rischio adesso. Questo processo non è reversibile adesso. Alcuni critici dicono che è una scelta meno efficiente e più costosa, ma è indubbiamente più sicura.
Pensa che questo nuovo paradigma rimarrà anche nel caso di una nuova amministrazione repubblicana o si tornerà a una visione più tradizionale?
Forse Trump potrebbe rovesciare l’intero impianto, ma credo che comunque molti repubblicani credano che alcune cose vadano mantenute, anche perché bisogna ricordare che attualmente non sono più solo il partito del business e dello stato minimo, così come i democratici non sono più un partito dei lavoratori, ma più delle elite costiere. Quindi difficile fare previsioni di tipo politico.
Come lei ha detto nel suo intervento, si va verso una “frammentazione della globalizzazione” e un’economia più divisa in blocchi e a un arresto dell’espansione del libero commercio. Pensa che questa spaccatura sia permanente?
Certi cambiamenti sono inevitabili. Mettiamola così: da un lato abbiamo l’opzione di un’apertura totale e dall’altra una chiusura doganale molto stretta. Siccome non si può tornare al libero scambio, per evitare ulteriori spaccature economiche bisogna trovare un’opzione di compromesso che faccia trovare una nuova forma per governare questa nuova fase, anche se su questo si stanno facendo pochi progressi attualmente. Non si andrebbe lontano con una nostalgia delle aperture economiche dell’ultimo trentennio. Le divisioni che ci sono tra Cina e Stati Uniti, ma anche tra America ed Europa per certi aspetti, sono permanenti. L’Asia orientale è dipendente dalla Cina anche se non si fida completamente, anche perché il modello cinese sta andando a gambe all’aria, perché mentre un tempo lasciavano relativamente libero il settore privato, ora lo stanno riprendendo in mano e così gli imprenditori non investono più perché non conoscono più la loro posizione nella società, mentre i consumatori spendono meno perché non sanno cosa aspettarsi dal futuro. Insomma, è una sorta di ferita che si sono autoinflitti che ha creato una crisi di fiducia interna sul loro modello. C’è poi una crisi nel settore immobiliare e le sanzioni americane nei confronti della Russia li stanno colpendo indirettamente. Quindi non arrivano nuovi investitori stranieri e quelli rimasti pensano di andarsene. Insomma, una situazione economicamente instabile.
Parlando della transizione ecologica, secondo lei sta frenando la lotta all’inflazione, dato che occorre una grande quantità di denaro?
Si può dire la stessa frase anche al contrario, che la lotta all’inflazione frena gli investimenti che servono per la transizione ecologica. In un mondo dove ci sono tassi d’interesse alti, lo spazio di manovra fiscale è relativamente basso e il sistema finanziario non mobilita grandi aggregazioni di capitale privato, ebbene, abbiamo una ricetta per il disastro. Il nuovo capo della Banca Mondiale Ajay Banga ha un background finanziario e quindi può capire come fare affinché anche i privati investano in questo senso. Se si pensa di attuare la transizione solo con fondi pubblici, non funzionerà e l’inflazione rimarrà fuori controllo.
Come mai l’Italia sta crescendo meglio dei partner europei?
Non saprei le precise ragioni, ma sta facendo un pochino meglio degli altri paesi.
Anche se la crescita rimane bassa, perché la Germania, che è un grande partner commerciale della Cina, ha trascinato anche l’Italia, perché Berlino è un vostro mercato di riferimento. Forse una delle ragioni va cercata nella gestione economica degli ultimi anni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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