Ubs ha pubblicato il suo Global Wealth Report 2023, il primo in sinergia con Credit Suisse dopo l'avvio del processo di acquisizione della storica concorrente svizzera che spiega lo stato della ricchezza globale in riferimento all'anno passato, il 2022. La ricerca mostra dati che a un primo impatto potrebbero apparire sconcertanti: la ricchezza scende in Europa, Canada e Stati Uniti e aumenta in Russia. Nel primo anno in cui la ricchezza mondiale è scesa rispetto al 2008, calando del 2,4% e di 11,3 trilioni di dollari, l'Occidente assimila buona parte della contrazione mentre la Russia è tra i Paesi in controtendenza.
L'Occidente perde, complessivamente, 10,9 mila miliardi di dollari di ricchezza, mentre la Russia ha aggiunto 600 miliardi di dollari di ricchezza al suo mercato interno, divenendo la quarta nazione per crescita cumulata dopo Messico (655 miliardi), India (675) e Brasile (1,1 mila miliardi). Tutto questo nel periodo compreso tra l'1 gennaio e il 31 dicembre 2022 rispetto al 2021.
In quest'ottica, parliamo di un contesto che si può spiegare con una serie di tematiche: l'evoluzione dei mercati alla luce della fine dell'era emergenziale del Covid-19, le dinamiche inflattive e di cambio tra le valute, la questione dell'allocazione degli asset chiave per la ricchezza dei Paesi. Su questo fronte le tre dinamiche hanno penalizzato maggiormente il Nord America e l'Europa mentre la Russia è riuscita, stando al 2022, a subire danni più contenuti.
Ricchezza e dinamiche di mercato
Cosa ha, innanzitutto, causato la perdita di ricchezza in Occidente? Un fattore non necessariamente negativo per la stabilità economica di Usa, Canada e Europa, ovvero la correzione borsistica che ha concentrato sull'1% più ricco della popolazione la maggior parte delle perdite. L'1% più ricco della popolazione ha perso il 44,5% dei suoi redditi nei Paesi di Europa e Nord America, scrivono Ubs e Credit Suisse nel report. Essi hanno assorbito buona parte delle perdite da 19 mila miliardi di dollari delle borse dei mercati principali del pianeta, compensati dall'aumento di 7,9 mila miliardi di dollari della ricchezza non finanziaria legata, ad esempio, al mercato immobiliare. Questo ha difeso la ricchezza delle classi medie e medio basse, visto che in Paesi come gli Stati Uniti ha prodotto una crescita della ricchezza mediana in una fase di calo della ricchezza media.
Un altro fatto da non sottovalutare per segnalare la diminuzione della ricchezza è l'aumento del debito privato complessivo di oltre il 5% in Canada, Stati Uniti e Regno Unito. Paesi in cui il 2020 e il 2021 avevano provocato un boom nel risparmio che poco si confaceva con la strutturale esperienza di questi Paesi, in cui finanziarizzazione e indebitamento sono andati di pari passo. Calano il valore delle azioni e aumentano i debiti, portati in negativo nell'analisi, ed ecco che si può spiegare un'ulteriore quota del calo della ricchezza nel mondo anglosassone. Mentre per l'Europa pesa - e non poco - la questione del cambio.
Il nodo del cambio
Su questi dati, inoltre, si innestano inflazione e tasso di cambio. Per Ubs e Credit Suisse, l'inflazione con le problematiche create all'economia reale spingendo al rialzo dei tassi ha visto in molti Paesi ad economia avanzata i suoi effetti sulla ricchezza manifestarsi trascinando verso il basso gli stock finanziari. Mentre ancora più impattante è il tema del tasso di cambio tra le valute.
Più che l'inflazione, infatti, è stata la reazione all'inflazione di Washington a plasmare un trend ribassista. L'apprezzamento del dollaro e la fuga di capitali che ha prodotto da Paesi come Turchia, Argentina, Nigeria oltre che da molti mercati emergenti ha avuto un impatto che senza contrappesi avrebbe portato il crollo della ricchezza mondiale al 5,6%. E ha penalizzato anche l'Europa, che ha subito il "superdollaro" in termini di prestazione dei suoi mercati, dei suoi investimenti, del suo export. Oltre che del valore dei suoi asset finanziari, calati (escludendo il Regno Unito) del 10,4% contro il 9% cumulato di Usa e Canada proprio per il valore nominalmente inferiore della moneta.
Questo tema riguarda anche buona parte del successo (apparente) della Russia: Ubs e Credit Suisse ricordano che nonostante sanzioni e embargo occidentale, il rublo si è apprezzato del 5,6% sul dollaro in tutto il 2021. E questo, unito alla matrice esportatrice dell'economia russa fondata sulle materie prime, ha portato a un notevole afflusso di ricchezza nel Paese.
Petrolio, gas e poca finanza: il segreto della crescita russa (ora in dubbio)
La Russia, infatti, ha sperimentato grandi afflussi di risorse per le esportazioni di gas e petrolio non ancora colpite da diversificazioni e sanzioni e gonfiate dai prezzi dell'energia in volo. La strategia della Banca centrale di garantire i proventi delle esportazioni delle compagnie straniere per la difesa della valuta ha poi alzato il valore del rublo dopo lo choc post-invasione dell'Ucraina: questo, al 31 dicembre, ha prodotto quindi un volano positivo per Mosca, dato che il computo della ricchezza in dollari favorisce in termini reali le valute apprezzatesi e i Paesi di riferimento. Questo è lo stesso tema che riguarda Messico e Brasile, Paesi esportatori le cui valute hanno guadagnato sul dollaro nel 2022.
E così, mentre in Occidente i super-ricchi declinano e le classi medie tengono, in questi Paesi, Russia in primis, sono i super-ricchi a cumulare gli incrementi di patrimonio più grandi: Forbes, pubblicando l'indice 2023 dei miliardari su dati 2022, ha segnalato un aumento da 353 a 505 miliardi della ricchezza dei soli miliardari russi nell'anno dell'invasione. Con gas e petrolio che davano al Paese fino a un miliardo di dollari al giorno di proventi e la spesa militare a oliare i meccanismi economici sostituendosi alla spesa per beni di consumo non più gestita come in passato, il dato apparentemente sconcertante si può spiegare. L'inflazione energetica e il caro vita hanno colpito listini ed economie reali di Paesi più sviluppati sul fronte industriale e dei consumi, risparmiando chi si basava sulla rendita energetica.
Va detto che quella di Ubs e Credit Suisse, per quanto ampia e dettagliata, non è che una fotografia: e se nel 2022 le rilevazioni si fermano al 31 dicembre, è bene ricordare che sulla Russia i dati possono essere già notevolmente cambiati. La perdita del 25% di valore del rublo sul dollaro dall'1 gennaio a oggi è un indicatore del fatto che, a Mosca, la musica è probabilmente già notevolmente cambiata.
E in combinato disposto con un'inflazione che sale in Russia mentre in Occidente inizia a frenare, in un contesto di prezzi energetici sotto controllo rispetto al 2022, il report dei colossi svizzeri non necessariamente deve far cantare vittoria dalle parti del Cremlino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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