Ora è ufficiale, perché l'ha detto l'ad Gabriele Del Torchio: Etihad per una quota fino al 49% di Alitalia sborserà 560 milioni di euro. L'equivalente di due Boeing 747, il leggendario Jumbo, che a listino costano 367 milioni di dollari l'uno (pari al 270 milioni di euro) o, se preferite, quanto tre 787-9, che costano 252 milioni di dollari, pari a 186 milioni di euro. Insomma: con il valore di due-tre aerei di lungo raggio, gli arabi si portano a casa una compagnia con una flotta di 134 aerei e un fatturato di 2,7 miliardi nei primi nove mesi, tuttora leader di mercato in Italia. Naturalmente si tratta di un'immagine ad effetto, ma sicuramente riesce a rendere l'idea. Si dirà: ma Etihad non porta a casa la compagnia, compra una quota di minoranza. È vero: ma chi è convinto che continueranno a comandare gli italiani batta un colpo. L'importante, piuttosto, è che gli stessi italiani riescano a convincere l'Unione europea che la guida continua ad appartenere a loro. L'animo di Bruxelles, a quanto pare, è quello di non intralciare un'operazione così importante e che formalmente rispetta le regole comunitarie; animi più maldisposti albergano invece a Francoforte, leggi Lufthansa, e a Londra, leggi British-Iberia, da tempo in allerta e pronti alle carte bollate.
Ieri Del Torchio ha finalmente dato un numero certo di esuberi strutturali: 2.200. Strutturali vuol dire che dovranno lasciare l'azienda perché non sarà possibile applicare cassa integrazione a rotazione o contratti di solidarietà. Per usare un termine un po' crudo, licenziati. La ristrutturazione, ha detto Del Torchio, sarà un processo «complesso, faticoso e doloroso». Oggi alle 12,30 i sindacati incontreranno i ministri Maurizio Lupi e Giuliano Poletti (Trasporti e Lavoro). Resta fermo l'appuntamento per giovedì tra le sigle e l'azienda, mentre per venerdì è convocato il consiglio di amministrazione che dovrebbe dire il sì definitivo alle condizioni di Etihad («a questo stiamo lavorando»).
Lo stesso Del Torchio, fiducioso, ha riferito che «con le banche siamo molto avanti» (Intesa, Unicredit, Mps e Popolare Sondrio). Anche qui ci sono malumori, perchè i 550 milioni di crediti, oggetto di abbuoni e conversione in capitale, andranno fatti digerire agli azionisti. Basti un esempio: la Sondrio, incagliata con 93 milioni in Alitalia, sta raccogliendo 350 milioni in aumento di capitale; in altre parole, quasi un terzo di ciò che verseranno i soci della cooperativa andrà a pareggiare la partita Alitalia. Ma anche gli altri istituti provano serio imbarazzo. Ieri Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo, si è destreggiato parlando del «grande potenziale di Alitalia, che merita sacrifici», ma ha ripetuto che appena la società tornerà in utile, nel 2017, la quota sarà venduta. A chi? L'ipotesi è serpeggiata qualche giorno fa: alla Cassa depositi e prestiti. La macchinazione è la seguente: poiché, dopo il sacrificio delle banche, Alitalia-Cai (la holding) non avrà più debiti, nel momento in cui la nuova Alitalia semiaraba andrà in utile e distribuirà dividendi, andrà in utile anche la controllante. La Cdp, la cassa che raccoglie il risparmio postale, può entrare solo in aziende in bonis.
Infine, il capitolo Malpensa. Ieri Maurizio Lupi, documenti alla mano, ha incontrato il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e il presidente della Regione, Roberto Maroni, per tranquillizzarli sul futuro dello scalo, dove Alitalia passerà da 11 a 25 voli settimanali: «Fiumicino e Malpensa saranno i due grandi aeroporti intercontinentali dell'alleanza», ha detto Lupi, al quale Maroni ha fatto eco dicendo che le nubi su Malpensa «sarebbero» sgombrate. Attenzione ai numeri, però: gli attuali voli Alitalia da Fiumicino sono 1.
274 alla settimana.Pur incalzata da Ryanair, che ha di nuovo mancato il sorpasso, Alitalia resta, secondo i dati Enac, la prima compagnia italiana con 23,9 milioni di passeggeri nel 2013, cioè 1,4 milioni meno di un anno prima.
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