Morselli show al Senato. L'ad di Acciaierie d'Italia (ex Ilva) in audizione alla commissione Industria di Palazzo Madama chiede a gran voce di essere considerata la rappresentante di entrambe le anime alla guida dell'ex Ilva (Invitalia e Arcelor Mittal, al 40 e 60% di Acciaierie d'Italia) ma minaccia il socio pubblico e batte cassa.
È di nuovo un tutti contro tutti nella partita in corso per la definizione del futuro industriale dell'Ilva. Soci, sindacati, amministrazioni locali, indotto, la bagarre è totale. E ha avuto il suo apice ieri in Senato dove l'ad del gruppo ha apertamente «minacciato il governo» di poter impugnare il recente decreto recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale per incostituzionalità. Di cosa ha paura la Morselli? All'articolo 2 si parla della possibilità di dichiarare l'amministrazione straordinaria per la ristrutturazione industriale di grandi imprese insolventi. La famosa Legge Marzano a cui il dl aggiunge: «L'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria può avvenire, nei casi di società partecipate dallo Stato, su istanza del socio pubblico che detenga almeno il 30 percento delle quote societarie». In soldoni, li caso Ilva, dove il socio privato può dunque essere esautorato. È così che, mentre da un lato Morselli spiega di «non accettare di essere considerata come rappresentante di un socio straniero», dall'altra accusa il socio pubblico - che essa stessa ci terrebbe a rappresentare - di aver ideato un decreto incostituzionale (e quindi la minaccia sta nella sua impugnabilità) tirando in causa un parere di Sabino Cassese, giurista ed ex ministro della Pa. Non solo. A stretto giro richiama il governo-socio anche sul fronte economico: «Il socio internazionale ha anticipato nel tempo più di due miliardi di euro e adesso tocca al socio italiano».
«Peccato che lo scenario non sia esattamente questo commenta a il Giornale una fonte vicina alla vicenda. Va detto spiega che la maggior parte degli interventi ambientali sono stati finanziati da Ilva in amministrazione straordinaria e il resto sia in gran parte una partita di giro perché in molti casi, i fornitori erano altre società del gruppo Arcelor Mittal».
Il tutto mentre, sul fronte sindacale, salgono le pressioni sul governo perché si porti in maggioranza nella compagine azionaria dell'ex Ilva. I sindacati, in sostanza, non vogliono più avere Arcelor Mittal come interlocutore e la loro battaglia è appena iniziata. Il primo round è stato fissato per il 30 gennaio quando Acciaierie d'Italia, dopo la sollecitazione dei sindacati nei giorni scorsi, ha convocato i vertici di Fim, Fiom e Uilm a Roma.
I sindacati accusano di «gestione fallimentare» l'attuale socio di maggioranza, e definiscono «fatale per il gruppo siderurgico e per i lavoratori attendere il 2024 per il cambio di governance». Le distanze sono anche sullo scudo penale. Morselli chiede di più: la norma sui sequestri, per essere applicabile all'acciaieria - dice - «va estesa anche a chi ne ha chiesto la revoca e gli è stata negata».
I sindacati chiedono invece qualche passo indietro, per non correre il rischio «di far sparire» - come dice la Fiom - ogni responsabilità sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Intanto, anche a Taranto la situazione non va meglio. Oltre 50 aziende dell'indotto hanno lasciato Confindustria Taranto e nei prossimi giorni registreranno la nascita di un nuovo comitato che le rappresenti.
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