Sulla campagna elettorale a stelle e strisce tira una strana aria: un venticello insidioso che sa di «Parmesan». O forse di «Zottarella», chissà. Le eccellenze enogastronomiche italiane sono infatti esposte a rischi sempre maggiori di falsificazione, con l'assenso più o meno diretto degli schieramenti in corsa verso la Casa Bianca. I numeri da record dell'export agroalimentare italiano, che nel 2023 ha raggiunto i 64,4 miliardi di euro, sono in forte crescita. «Nei prossimi anni l'Italia può superare i 120 miliardi di euro di export di autentico made in Italy - dice Ettore Prandini, presidente di Coldiretti - perché il mondo cerca i nostri prodotti. Lo dimostra anche la grande diffusione delle imitazioni». Eppure la politica americana è poco attenta a tutelare le nostre denominazioni d'origine e appare invece più orientata a promuovere l'utilizzo di nomi generici. Quelli che originano poi il fenomeno dell'italian sounding, i prodotti che all'orecchio sembrano italiani - come il Parmesan - ma che al palato si rivelano delle imitazioni di infima qualità.
Ad accendere i riflettori su questo aspetto è Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia, che in questi giorni si trova al Summer Fancy Food 2024 di New York, il più importante evento fieristico nordamericano dedicato alle specialità alimentari, con 300 aziende italiane presenti. «L'attività di presidio, di difesa e di tutela delle denominazioni dall'italian sounding è centrale qui in America, ancora di più se in campagna elettorale sia i conservatori, sia i democratici spingono sull'utilizzo di nomi generici, tipo Parmesan, piuttosto che valorizzare l'origine dei prodotti. E il problema diventa ancora più grosso se ci ritroviamo anche aziende italiane che fanno lo stesso», dichiara Scordamaglia.
Il tema è molto attuale negli Usa, non solo a livello politico: il 28 maggio scorso, una giudice della California ha accolto la class action di due consumatori che hanno accusato Barilla di italian sounding, contestando il fatto che la pasta da loro acquistata sarebbe stata prodotta negli stabilimenti Usa e non in Italia. Per sensibilizzare gli interlocutori americani, Filiera Italia, Coldiretti e Campagna Amica metteranno a confronto alcune delle specialità più famose del made in Italy con le più smaccate imitazioni scovate dalla Coldiretti nei supermercati a stelle e strisce. In collaborazione con l'Ice la delegazione italiana punterà soprattutto a valorizzare due aspetti. «Ribadiremo innanzitutto il valore della dieta mediterranea, anche con l'aiuto di testimonial importanti, spiegando come essa sia basata su prodotti naturali quali l'olio d'oliva, la pasta, il formaggio. L'esatto opposto dei cibi ultraprocessati», ci spiega Scordamaglia.
E poi si parlerà appunto di lotta all'italian sounding. Durante la tre giorni del Fancy Food sarà anche presentata l'Accademia della cultura enogastronomica italiana, in collaborazione con il nostro ministero degli Esteri: uno strumento di conoscenza, formazione e nascita di nuove professionalità del mondo del cibo, della cultura e della cucina italiana. E domani al Farmers Market Grow NYC di Union Square, il più famoso mercato contadino della Grande Mela, gli agricoltori della Coldiretti coinvolgeranno le famiglie newyorchesi in una vera e propria «scuola di dieta mediterranea» a cielo aperto.
La partita, per il nostro Paese, è decisiva:
dagli esiti dipende il traguardo dei 120 miliardi nell'export del made in Italy. Ma bisogna crederci. Serve un gioco di squadra nel quale le aziende italiane hanno oggi il governo dalla loro parte. E già questo non è poco.
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