Assocalzaturifici: "Comparto oltre la soglia critica, a rischio 30mila posti"

Il presidente Siro Badon: "Senza misure forti e specifiche, appena finirà il periodo di blocco dei licenziamenti, aziende e occupati saranno travolti. Subito i sostegni previsti. Ritardare o impedire l’apertura delle fiere equivale a ostacolare ripresa degli scambi internazionali e promozione del made in Italy"

Assocalzaturifici: "Comparto oltre la soglia critica, a rischio 30mila posti"

Il settore calzaturiero italiano è in ginocchio dopo un 2020 in cui si è perso è perso circa un quarto della produzione nazionale (-27,1% in quantità) e del fatturato complessivo (-25,2%). In forte calo anche l’interscambio commerciale (calo attorno al -18% in volume sia per i flussi in uscita che in entrata) e i consumi interni (-23% in spesa gli acquisti delle famiglie, malgrado un +17% per il canale online, oltre al crollo dello shopping dei turisti). Questa la fotografia impietosa del comparto che emerge dagli ultimi dati diffusi da Assocalzaturifici.

“La situazione è oltre la soglia critica, - spiega Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici –. Abbiamo un settore che lavora sulla produzione dell’anno successivo con una marcata stagionalità ed enormi costi fissi e di manodopera: siamo pertanto già certi di un 2021 disastroso e la verità è che senza misure forti e specifiche, purtroppo ci saranno molti posti di lavoro a rischio e chiusure aziendali appena finirà il periodo di blocco dei licenziamenti. Stimiamo siano a rischio fino a 30.000 posti di lavoro, a cui dovremo inevitabilmente sommare quelli dell’indotto e nella filiera a monte”.

Al crollo dei livelli di attività nella prima parte dell’anno, causato da lockdown, ha fatto seguito, nei due trimestri successivi, solo un’attenuazione della caduta.
La seconda ondata del virus in autunno ha subito interrotto i primi timidi segnali di risalita mentre nel trimestre conclusivo del 2020, in particolare, export e consumi, con le vendite natalizie compromesse dalle misure restrittive, sono risultati ancora largamente insoddisfacenti.
Il numero di calzaturifici attivi è sceso in Italia di 174 unità rispetto a fine 2019, e quello degli addetti di oltre 3.000 (con un -4% per entrambi), con cali generalizzati in tutti i principali distretti. Nella filiera pelle sono state autorizzate quasi 83 milioni di ore di cassa integrazione guadagni, dieci volte gli 8,3 milioni del 2019.

Un quadro che ha spinto l’associazione che rappresenta l’intera filiera a fare un appello alle istituzioni: "Abbiamo bisogno che il Governo ci dia certezze – ribadisce Badon - È necessario che i negozi possano aprire con continuità perché la stagionalità non ci consente di recuperare sui costi di produzione. Gli stock a magazzino, accumulatisi con l’invenduto, e gli ordini non confermati, si svalutano compromettendo i bilanci delle aziende. Con una filiera in ginocchio non riusciamo a comprendere le ragioni perché di alcuni prodotti sia consentita la vendita permanente e per le calzature vi sia una esclusione. Abbiamo ormai perso 4 stagioni di vendita”.

“Per questa ragione - prosegue - è necessario che venga rivisto il criterio con cui si indennizzano le aziende, parametrando i sostegni alle perdite subite calcolate in base ai fatturati a cui devono essere sottratti i costi fissi non compensati dai ristori. Tale sistema sosterrebbe maggiormente le imprese ad alta intensità di occupazione e che maggiormente necessitano di essere sostenute, come quelle calzaturiere”.

Nessun dubbio sul fronte delle misure da adottare. “Auspichiamo, pertanto, - sottolinea Siro Badon - la decontribuzione per tutta Italia del 30% di oneri previdenziali dovuti dal datore di lavoro, come da decreto agosto per le sole regioni del sud e una rapida approvazione dei decreti attuativi dell’art. 48bis del Decreto Rilancio, che, lo ricordo, introduce un credito d’imposta pari al 30% del valore delle rimanenze a magazzino, ampliando le risorse e la percentuale a compensazione fiscale. Inoltre, abbiamo bisogno si riparta con le politiche di sostegno all’export. Le fiere sono un asset essenziale per le Pmi. Ritardare o impedirne l’apertura equivale ad ostacolare la ripresa degli scambi internazionali e la promozione del made in Italy, fondamentale per il rilancio del nostro settore. Inoltre le rassegne professionali, allestite secondo i protocolli sanitari sono da sempre un insostituibile strumento di politica industriale che generano un volume complessivo di 60 miliardi di euro annui”.

Sulle fiere internazionali, Badon avanza richieste precise: “Chiediamo alle autorità preposte di disporre Corridoi verdi in entrata per gli operatori commerciali che garantiscano una più snella e veloce concessione dei visti d’ingresso, ove necessario e al Ministero degli Affari Esteri di lavorare per l’apertura di corridoi in uscita per garantire ai

nostri imprenditori di poter tornare a incontrare i clienti durante gli eventi commerciali b2b. Ci sono paesi nostri competitor che non hanno interrotto l’attività fieristica e non hanno subito alcuna impennata nei contagi”.

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