Boeing "congela" il lavoro negli Usa

A ottobre creati solo 12mila posti, pesano gli scioperi della compagnia e gli uragani

Boeing "congela" il lavoro negli Usa
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Gli uragani e lo sciopero Boeing fanno uno sgambetto al mercato del lavoro statunitense. L'improvvisa battuta d'arresto, con i nuovi occupati ridotti al lumicino nel mese di ottobre (+12mila rispetto ai 100mila stimati dagli analisti), non ha allarmato affatto Wall Street, anzi gli acquisti hanno avuto la meglio nella prima seduta del nuovo mese in quanto tali deboli riscontri occupazionali hanno alimentato le attese sui prossimi tagli dei tassi. Il report sul mercato del lavoro è infatti l'ultima importante pubblicazione prima del meeting della Federal Reserve del 7 novembre e offre un assist importante a un nuovo taglio dei tassi di 25 punti base, che adesso è dato quasi per certo.

I pochi nuovi occupati di ottobre segnano il riscontro mensile peggiore dal lontano 2020. Come accennato, a incidere negativamente sul mese appena archiviato sono stati due fattori estemporanei, ossia gli uragani e il maxi sciopero alla Boeing. Mentre non è possibile isolare l'effetto degli uragani, il Dipartimento del lavoro statunitense ha spiegato che i 46mila posti in meno nel settore manifatturiero a ottobre possono essere «in gran parte imputati agli scioperi».

La debolezza occupazionale non è limitata ai soli riscontri del mese appena concluso. Il Dipartimento del Lavoro ha infatti rivisto al ribasso di 112mila unità le nuove buste paga nei mesi di agosto e settembre.

La disoccupazione nella prima economia mondiale risulta comunque stabile al 4,1%, mentre la crescita dei salari - un indicatore importante per misurare le pressioni inflazionistiche - è scattata al 4,1% dal 4% precedente, a conferma che le pressioni sui prezzi rimangono un elemento che la Fed dovrà continuare a monitorare attentamente.

Adesso i mercati sono tuttti proiettati al meeting Fed del 7 novembre, che arriverà due giorni dopo le elezioni presidenziali. L'esito delle urne non dovrebbe in alcun modo influire sull'orientamento della banca centrale guidata da Jerome Powell. «Un esito elettorale ravvicinato potrebbe provocare una significativa volatilità del mercato - spiega James Knightley, capo economista internazionale di Ing - ma questo non impedirà alla Fed di tagliare i tassi di interesse di 25 punti anche alla luce dello scenario inflattivo meno minaccioso e della maggiore enfasi che la Fed sta ponendo sui posti di lavoro». In generale, adesso i mercati prezzano che la Fed tagli di un quarto di punto in ciascuna delle due riunioni rimanenti da qui a fine anno dopo la sforbiciata di mezzo punto percentuale con cui la maggiore banca centrale al mondo ha bagnato a settembre il nuovo ciclo di allentamento monetario.

Anche se tutti i sondaggi danno un testa a testa serrato tra Trump ed Harris, su i mercati in queste settimane è andata in scena la cosiddetta Trump trade, ossia il posizionamento in vista di una possibile affermazione del candidato repubblicano e che ha portato i rendimenti

dei Treasury risalite a massimi a 4 mesi anticipando gli effetti dei dazi annunciati da Trump sull'inflazione e quindi sui tassi Fed, attesi stazionare a livello mediamente più alti con il tycoon di nuovo alla Casa Bianca.

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