Bpm, Dini si ritira. Via libera a Giarda

Il 21 dicembre Piero Giarda sarà il nuovo presidente della Banca Popolare di Milano perché il suo avversario, Lamberto Dini, ha rinunciato alle urne ancora prima che iniziasse la campagna elettorale. E quasi certamente farà lo stesso l'uomo d'affari Raffaele Mincione, primo sponsor della lista Dini (a questo punto rottamata), che fino a venerdì progettava di correre anche per uno dei due posti nel Cds riservati ai soci di capitale.
A lasciare intendere che la ritirata sarà totale, sebbene il termine ultimo per il deposito delle squadre sia domani, è lo stesso Dini, annunciando in un documento di aver concluso «d'intesa con Mincione, che non sussistono più le condizioni e i presupposti» per un «diretto coinvolgimento» nello scontro. Il ragionamento, come si conviene al parlamento di Bpm, è essenzialmente politico: «Le forze interne che per settimane avevano manifestato interesse e sostegno» alla formazione di una lista che fosse maggioritaria e cambiasse la banca, dice Dini, «non sono piu presenti».
Le sigle sindacali Bpm sono, infatti, compatte con le rispettive segreterie nazionali nel sostenere Giarda, che è da subito apparso favorito anche se la partita è diventata netta quando Lando Maria Sileoni ha schierato la Fabi. L'altra variabile chiave, verificatasi subito dopo, è stata comunque l'intimazione di Bankitalia affinché entrambi i contendenti prendessero le distanze da quello che resta della disciolta Associazione Amici: i suoi capicorrente, seppur in molti casi ormai pensionati, ancora catalizzano il voto assembleare di Piazza Meda, rafforzati proprio dalle cinque deleghe di voto concesse agli ex dipendenti. «Non desidero essere coinvolto in nessuna lista per il consiglio di sorveglianza della banca e ho consigliato Mincione di non presentare una lista a nome del suo fondo di investimento», prosegue Dini, evidenziando come la difesa della struttura cooperativa, voluta dal pentapartito sindacati-associazione pensionati, faccia a pugni con le «direttive» di Bankitalia, da cui non vuole invece distaccarsi.
L'ex premier getta per questo un'ombra sulle resistenze a procedere all'aumento di capitale da 500 milioni, definendole semplici «enunciazioni elettorali», che saranno contraddette subito dopo l'assemblea. Dini pensa, infatti, che per Bpm sia indispensabile cambiare la governance, perché è il solo modo per fare digerire al mercato la ricapitalizzazione. La «popolare bilanciata» dovrebbe, però, essere solo un passaggio intermedio verso la definitiva trasformazione in Spa chiesta da Bankitalia: secondo quanto trapela, il salto avrebbe dovuto avvenire entro un anno.

Perché, secondo il tandem Dini-Mincione, è l'unico modo per fare di Bpm un soggetto aggregante nell'ambito del più ampio riassetto del credito che avrà luogo sotto gli occhi di Ignazio Visco. In caso contrario Bpm sarà preda, e la prima indiziata resta il Banco Popolare. «Bpm - conclude Dini - per la sua storia, non merita questa destino».

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