Il calcio italiano è in declino: il tramonto accelerato dall'era Covid

Nel 2021 il sistema-calcio ha perso 1,2 miliardi di euro, che sommati ai 4 persi negli anni precedenti mostrano una crisi profonda

Il calcio italiano è in declino: il tramonto accelerato dall'era Covid

Il calcio italiano vive con difficoltà gli anni seguiti alla crisi pandemica e l'incertezza economica nazionale. Il Covid-19, con la chiusura imposta agli stadi, le crisi di liquidità per le imprese, le incertezze di sistema, ha come in altri settori accelerato, piuttosto che generato, le condizioni ideali per il ridimensionamento di un settore già in affanno. A confermarlo il Report Calcio 2022, studio sul pianeta-calcio italiano realizzato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc) in collaborazione con il centro studi Arel e la società di consulenza PwC.

Parliamo di un declino strutturale che neanche il trionfo della Nazionale italiana agli Europei del 2021, vera e propria estasi collettiva per il Paese nella complessa estate post-pandemica, ha invertito. Nei dodici anni precedenti la pandemia il sistema calcio ha perso complessivamente 4,1 miliardi di euro e il biennio pandemico ha fatto il resto aggiungendo 1,2 miliardi di euro di perdite. Nella stagione 2020-2021, a fronte di un'ulteriore decrescita delle entrate dei club e delle federazioni che hanno visto un calo del 3% sul precedente esercizio, già viziato dallo scoppio della pandemia, i ricavi del calcio italiano si sono attestati o su un valore pari a circa 3,5 miliardi di euro

Al contempo, si nota nel report, i costi dei club del calcio italiano hanno conosciuto una crescita del 7% a 4,5 miliardi di euro. I club, inoltre, hanno una passività aggregata a livello finanziario di 5,3 miliardi di euro e indici di liquidità in progressivo peggioramento. Pesano, in particolar modo, i costi del personale sulle difficoltà dei club. Il calcio, nel 2021, impegnava il 92,4% dei professionisti sportivi italiani, 7.470 persone, e il fatto che i contributi previdenziali versati fossero pari a 156 milioni di euro, il doppio di quindici anni fa, mentre nel 2020 e 2021 e i club hanno dovuto ricevere iniezioni di liquidità complessive per due miliardi di euro.

Il sistema calcio fatica in superficie, nelle leghe professionistiche messe in ginocchio dai costi in crescita ma comunque preservate nell'operatività, ma rischia di affondare alle fondamenta. Il calcio è stato per decenni il fenomeno di massa più coinvolgente su scala nazionale, e anche dopo le difficoltà del Covid la Figc e i suoi apparati mantengono in attività 1,1 milioni di tesserati. Ma i dati sul post-Covid sono impressionanti. Le società, tra calcio professionistico, giovanili, dilettanti e mondo femminile, sono 11.861, in calo del 2,2% dal 2019, ma le squadre complessivamente attive sono calate del 20,8% e sono oggi 51.343, un calo paragonabile a quello dei calciatori (840.054, -21%) e dei dirigenti (212.344, -10,5%). "L’impatto più significativo", scrivono Figc, PwC e Arel, "è stato registrato all’interno del principale asset strategico del calcio italiano, ovvero il settore dell’attività giovanile, che nel 2020-2021 conta 594.149 tesserati under 20, in decremento del 29,3% rispetto al 2018-2019".

Dietro questi dati, la chiusura di settori giovanili, squadre di periferia e paese, centri di formazione che, oltre ad avviare allo sport, rappresentano un presidio sociale importante e un punto di aggregazione in contesti disagiati. "Ancora più rilevante", prosegue il report, "il riflesso prodotto sulle partite ufficiali: a causa della prolungata interruzione delle competizioni (per quanto riguarda in particolare il calcio dilettantistico e giovanile), i match disputati nel 2020-2021 sono stati appena 43.490, rispetto ai 524.040 giocati nel 2019-2020 e ai 571.865 del 2018-2019. Nello specifico, le partite giocate a livello dilettantistico sono passate dalle 198.486 del 2018-2019 alle appena 26.773 del 2020-2021 (-86,5%), mentre i match di livello giovanile sono diminuiti addirittura del 96,3% (da 370.087 a 13.724)".

Il confronto con il resto di Europa è spesso impietoso. Complici difficoltà gestionali, modelli sportivi e manageriali poco adatti ai tempi, scarsa apertura alle nuove tecnologie e una focalizzazione pressoché esclusiva sulla corsa ai diritti Tv e alle giornate-spezzatino il brand del calcio italiano ha perso terreno. Calcio e Finanza ha analizzato come in meno di trent'anni, dalla stagione 1992-1993 a quella 2021-2022, il rapporto tra la Serie A e la Premier League inglese si sia invertito: da un fatturato quasi doppio il massimo campionato italiano è arrivato ad averlo pari a poco meno del 50% della massima lega d'Oltre Manica. Nel 1992-1993 i 18 club di Serie A, stando ai dati dei bilanci attualizzati al costo della vita attuale, presentavano ricavi al netto delle plusvalenze per 704 milioni di euro, di cui 133 milioni generati dal solo Milan, contro i 391 della Premier League. Oggi i 2,6 miliardi di euro della Serie A, gravati da costi esplosi negli ultimi anni, impallidiscono rispetto ai 5,6 miliardi di euro della vera "Superlega" europea.

Il "pianeta calcio" si aspetta ora, tra fine 2022 e inizio 2023, la tempesta dell'aumento dei costi dell'energia e del carovita che rischia di aggiungere ulteriori danni a un contesto già deteriorato. Il rischio è che il "bagno di sangue" dell'ultimo biennio sia solo l'inizio. "Re Calcio", lo sport più seguito nel Paese, è nudo.

E senza una riforma strutturale, fondata su un serio contenimento dei costi, un rilancio del brand Serie A e una svolta dei club verso maggiori attenzioni al mantenimento degli utili e di bilanci virtuosi, sarà sempre peggio negli anni a venire.

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