Caccia ai complici dello spione dei conti

Perquisito il bancario infedele. Ma i pm di Bari escludono che abbia agito da solo

Caccia ai complici dello spione dei conti

Caccia al complice, caccia al movente, caccia ai mandanti. Chi sperava che il bubbone scoppiato a Bari si potesse liquidare come il caso isolato di un «guardone» telematico, la vicenda grottesca di un grigio funzionario di banca che per tirare l'ora di pranzo si mette a curiosare nei conti dei clienti eccellenti, rischia di restare deluso. Perchè dal decreto di perquisizione eseguito dalla Procura nei confronti di Vincenzo Coviello, il 52enne licenziato da Banca Intesa dopo decenni di carriera inappuntabile, emergono almeno tre elementi che rendono ardua una visione minimalista della faccenda. Uno: la inverosimile quantità di accessi, 6.637 accessi abusivi ai dati di 3.572 clienti della banca, appare incompatibile con i tempi morti anche del bancario più sfaccendato. Due: Coviello ha avuto almeno un complice, e anche questo fa pensare a un movente diverso dalla semplice curiosità. Terzo: il livello delle incursioni nei conti è talmente alto da indurre la Procura barese a usare toni allarmati: a essere messa a rischio, scrivono i pm, è stata «la sicurezza dello Stato».

Coviello, da quando uno scoop del Domani lo ha reso protagonista di un giallo istituzionale, sfugge i cronisti, non risponde al telefono, cerca insomma di ritornare nel nulla da cui proviene. Nel suo passato non ci sono tracce di passioni politiche o culturali, all'edicola di Bitonto ogni mattina comprava Il Sole 24 Ore. Ma quando gli investigatori baresi hanno ricostruito l'elenco degli oltre tremila spiati dal bancario, è apparso lampante che nel suo mirino c'era quasi soltanto il centrodestra, nelle sue presenze al vertice delle istituzioni: del governo, dei ministeri, delle Regioni. I pochi esponenti della sinistra dossierati da Coviello sembrano lì quasi per caso, tanto sono lontani dal core business del funzionario di Intesa.

Nei confronti di Coviello il procuratore di Bari ha fatto scattare ipotesi di reato che potrebbero farlo invecchiare dietro le sbarre: accesso abusivo ai sistemi informatici, tentato procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato. Il decreto di perquisizione è esplicito, i reati di Coviello sono stati commessi «verosimilmente in concorso e previo concerto con persona/e da identificare, mandante/i degli accessi abusivi al sistema informatico del Gruppo Intesa San Paolo e destinataria/e delle informazioni acquisite tramite l'accesso abusivo». Dalle banche dati della banca Coviello ha compiuto un costante «accesso indebito ai dati finanziari di istituzioni poste a fondamento della Repubblica e loro familiari e/o collaboratori, al fine di procurare a sè e/o ad altri, attraverso la consultazione di quei dati, notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato dovevano rimanere segrete».

Si parla, come si vede, di complici, di destinatari, di mandanti. Non sono rimasti nei taccuini di Coviello, i dati sui conti correnti di Giorgia Meloni e delle altre vittime eccellenti. Solo il licenziamento da parte di Intesa, con la revoca delle credenziali per accedere alle banche dati, ha risparmiato a Coviello il mandato di cattura. Si procede a piede libero, perchè il reato non può essere nuovamente commesso. Ma se vorrà limitare i danni, l'uomo dovrà trovare spiegazioni più convincenti di quelle che avrebbe fornito ai colleghi quando è partito il procedimento disciplinare, «ero un maniaco del controllo». Controllo di chi, di cosa? In ogni caso, un controllo quasi a senso unico. E nei confronti di clienti con cui non aveva alcun rapporto di lavoro.

Coviello sostiene di avere interrotto le visure nel 2023, invece le indagini hanno dimostrato che ha continuato a spiare fino al febbraio del 2024, pochi mesi prima di essere licenziato, utilizzando le password che la banca gli aveva rilasciato. Man mano che il tempo passava, più gli obiettivi di Coviello si precisavano, la ricerca si affina. E gli obiettivi si fanno più inquietanti.

Il nome più delicato di tutti è quello di Giovanni Melillo, capo della Dna, la procura nazionale antimafia. É per ora l'unica, labile traccia di un collegamento tra le spiate di Coviello e la «macchina da dossier» pilotata dal tenente della Guardia di finanza Raffale Striano, ora indagato a Perugia per gli stessi reati contestati al bancario di Bitonto. Melillo è l'autore del repulisti all'interno della Dna, il capo che appena arrivato chiede al pm Antonio Laudati di rendere conto dell'operato di Striano, e subito dopo chiude l'ufficio che era la centrale operativa dei due. Come si spiega che nello stesso periodo in cui Melillo liquidava Striano i suoi conti correnti venissero frugati da Coviello? Le coincidenze esistono, ma questa sarebbe veramente clamorosa.

All'ex bancario, i carabinieri della polizia giudiziaria hanno sequestrato lo smartphone, il tablet,

gli hard disk. Nell'inchiesta su Striano, l'analisi dei dispositivi informatici ha fornito elementi fondamentali. Vediamo se ora saranno gli apparecchi di Coviello a dare le risposte che lo spione di Bitonto non vuole dare.

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