Fine anno in crescita per l’export in valore delle calzature made in Italy nel quarto trimestre del 2018 che tocca il 7,4%, dopo un terzo trimestre fiacco (+0,9%). Risultato positivo segnato però da una frenata della quantità di scarpe finite, con un calo dei volumi del 6,3%. Che significa che a tirate sono i prodotti di prezzo medio dell’alto di gamma che confermano il ruolo trainante dei grandi brand internazionali del lusso.
I dati Istat elaborati dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici indicano, tra le otto principali regioni a vocazione calzaturiera, un sensibile incremento per la Lombardia (+19,4% su ottobre-dicembre 2017) e crescite nell’ordine del 9%, superiori quindi alla media nazionale, per Toscana ed Emilia Romagna (che inverte la rotta dopo i risultati deludenti dei trimestri precedenti). Veneto +4%; debole l’aumento per la Puglia, +1,8%; trend nuovamente negativi per Campania (-8,6%) e Marche (-5,5%). Bene infine le “altre regioni” (che coprono assieme circa il 5% dei flussi in valore), che registrano la performance migliore, +23,2%, trainate dalla crescita dell’Abruzzo.
Nel’intero 2018, l’export di calzature finite e componentistica ha superato i 9,85 miliardi di euro (contro 9,51 miliardi del 2017), con un incremento complessivo del 3,6%, nonostante la frenata attorno al 3% della componentistica. I risultati positivi in valore sono stati però accompagnati da contrazioni in volume (attorno al -3,5% il calo annuo delle paia vendute oltre i confini nazionali e del -7,7% la contrazione in chilogrammi per la componentistica, secondo le prime elaborazioni condotte sui dati a consuntivo), con trend decisamente insoddisfacenti a novembre e dicembre.
Le elaborazioni di Confindustria Moda evidenziano un arretramento in valore, rispetto al 2017, in tre delle otto principali regioni esportatrici: Campania (-12,8%), Marche (-4,1%) e, in misura più lieve, Emilia Romagna (-2,1%). L’aumento medio dei prezzi (oltre l’8% quello per un paio di calzature esportate). Nelle Marche tiene Macerata (+2,8% in valore), ma calano Fermo (-7,5%) e Ascoli (-4%), dove pesano le performance molto negative sul mercato russo. Della Lombardia, trascinata da Milano, l’andamento migliore (+12,8%). Marche e Campania sono le uniche regioni a registrare un segno negativo nel confronto con i livelli di export di 3 e 5 anni fa: rispetto al consuntivo 2013, l’export marchigiano 2018 risulta inferiore del 16,4%; quello campano del 18,2%.
L’analisi delle principali destinazioni dell’export made in Italy sottolinea l’importanza del mercato comunitario dove vanno due calzature su tre esportate dai calzaturifici nazionali. Tra le prime otto regioni, sei hanno come principale cliente un paese dell’Unione Europea: quattro la Francia (Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Campania) e due la Germania (le Marche – che fino al 2014 avevano come mercato principale la Russia, ora terza – e il Piemonte). Solo Lombardia (Usa) e Toscana (Svizzera) hanno quale prima destinazione un mercato extra-Ue con una crescita attorno al 30%).
Dopo un 2017 in cui aveva invertito la rotta evidenziando timidi segnali positivi, nel 2018 l’export verso la Russia ha registrato una nuova battuta d’arresto in quasi tutte le regioni (-11% la media nazionale) con l’unica eccezione della Lombardia +6,1%. I livelli 2018 restano però – per tutte le principali regioni esportatrici verso la Russia, Lombardia inclusa – ancora largamente al di sotto dei livelli 2013, antecedenti la “crisi del rublo” (di oltre il -47% la media complessiva).
Malgrado le difficoltà non abbiano risparmiato nel 2018 diverse aree di sboccocome Russia-Csi, Medio Oriente e Oceania, la quota delle destinazioni extra-Ue sul totale export si è consolidata, raggiungendo il 49,9% in valore (49,4%nel 2017). Toscana (71,4%) e Lombardia (67,6%) le regioni con la più alta percentuale di export diretto a mercati non appartenenti all’Unione Europea. Cina e Corea del Sud hanno compensato i trend negativi rilevati per Hong Kong e Giappone. L’export verso i quattro principali mercati del Far East è cresciuto di quasi il 4% sul 2017.
Per il Giappone – che ha chiuso il 2018 con un calo nell’ordine del 3%, malgrado un miglioramento nella seconda parte dell’anno – l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio con la Ue apre interessanti prospettive di sviluppo per gli operatori anche tenendo conto dei tempi lunghi con cui sarà completata la liberalizzazione, l’abolizione delle quote e la progressiva riduzione dei dazi renderanno infatti più accessibile questo importante mercato.
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