Faw-Iveco non si fa più, stando alle dichiarazioni ufficiali di Cnh Industrial. E così la parola passa oggi alla Borsa. Fino ai giorni scorsi, come nel caso di Mediobanca Securities, «la cessione del costruttore di camion al gruppo cinese avrebbe rappresentato un importante catalizzatore per l'azione». Poi lo stop, peraltro nell'aria, perché la nuova offerta di Faw non rispecchiava le attese di Exor, la holding presieduta da John Elkann che controlla Cnh Industrial. Per non parlare delle pressioni politiche e sindacali contro la vendita, oltre ad alcuni cavilli da parte del governo di Pechino sugli investimenti in società estere. Infine le preoccupazioni dell'indotto per il possibile arrivo dalla Cina di componenti a prezzi più bassi.
«L'annuncio di sabato - commenta Roberto Russo, analista ed esperto in automotive - non cambia di fatto i piani del gruppo controllato da Exor, che ha confermato che entro il 2022 procederà con lo scorporo del gioiello italiano produttore di camion e bus al fine di sfruttare le opportunità di sviluppo del business e favorire l'emersione del valore intrinseco della società. La mancata monetizzazione dell'asset Iveco, che in base alla valutazione oggetto della trattativa fallita (circa 3 miliardi) rappresenta circa il 17% della capitalizzazione di Cnh Industrial, non dovrebbe influenzare l'andamento del titolo» in Borsa. «Ritengo che anche nell'ipotesi di un calo di matrice psicologica, il mercato premierà le prospettive di crescita della società in vista dello spin-off».
Sull'interruzione dei negoziati interviene Franco Fenoglio, che ha guidato Italscania (2012-2020) e prima ha avuto incarichi di vertice proprio in Iveco: «Il fatto che Iveco possa andare incontro ad accorpamenti è positivo, visti gli investimenti in green, guida autonoma e sviluppo della gamma. Occorre una massa critica di risorse che i volumi attuali non garantiscono. Esempi virtuosi di sinergie arrivano da Scania e Man (Volkswagen) e da Renault-Volvo». Il manager piemontese solleva poi il nodo del depauperamento industriale italiano derivato dalle tante aziende ora di proprietà estera: «Vuol dire che il comando su ricerca sviluppo e le varie operazioni sono nelle mani del nuovo azionista il quale prende decisioni in autonomia. Ha fatto bene il governo a puntare i piedi, ma ora deve trovare soluzioni di politica industriale capaci di salvaguardare l'occupazione e quel che rimane del nostro patrimonio. In Svezia, 9 milioni di abitanti, sono concentrate 6-7 multinazionali, cabine di regia comprese. Iveco ha l'esigenza di trovare un partner, ma senza perdere il comando».
Aggiunge Massimo Calearo Ciman, ex presidente di Federmeccanica: «È positiva l'azione di questo governo di salvare i gioielli industriali, dopo che il precedente esecutivo non è intervenuto nella trattativa che ha portato a Stellantis, comunque una grande operazione. L'industria automotive del Paese rappresenta un punto molto importante e non deve essere smantellata pezzo dopo pezzo. Guardando alla Cina, assistiamo a situazioni in varie parti del mondo in cui la potenza economica di questo Paese sbaraglia il sistema locale.
Ecco perché auspico una nuova forte alleanza europea nel settore, con Iveco protagonista».Per Gianandrea Ferrajoli, presidente di Federauto Trucks, «i piani strategici di Iveco restano convincenti e molto ben posizionati sul percorso green intrapreso».
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