Il Tfr in busta paga voluto dal governo Renzi rischia di essere un flop. Fino a pochi giorni fa solo sei lavoratori su cento avevano optato per l’incasso e alla fine, prevede un sondaggio della Swg per la Confesercenti, meno di due dipendenti su dieci sceglieranno di incamerare la liquidazione nello stipendio.
Il perché lo spiegano le elaborazioni fatte per noi dalla Fiba Cisl, la federazione dei bancari, che per uno stipendio medio parlano di perdite in tre anni che vanno da duemila fino a 10 mila euro rispetto alle opzioni cumulo in azienda o in fondo pensioni. E due conti se li stanno facendo i 14,4 milioni di lavoratori del settore privato, con almeno sei mesi di anzianità alle spalle, che in questi giorni stanno ricevendo i moduli per esercitare entro il mese un’opzione che varrà per i prossimi tre anni. L’arco di tempo sul quale il centro studi della Fiba ha calcolato quanto lascerebbero sul campo tre lavoratori con il reddito medio di 25 mila euro lordi annui ma anzianità differenti. Un lavoratore di 40 anni, con lo stesso reddito, perderebbe 3.140 euro rispetto al cumulo e 5.667 in raffronto al rendimento di un fondo. Un venticinquenne poi ne perderebbe 9.453 non lasciandolo fruttare in azienda e addirittura 10.808 euro togliendolo dalla pensione integrativa.
"Il Tfr in busta è peggio tassato e non dà rendimenti annui, quelli che rendono ancora più conveniente farlo cumulare in azienda o investirlo nella previdenza integrativa quando si è più giovani. Del resto – spiega il tributarista, Gianluca Timpone a La Stampa - i soldi accantonati in liquidazione fruttano ogni anno l’1,5% più i tre quarti del tasso di inflazione. Se ad esempio i prezzi aumentano del 2% il Tfr cresce del 3". In busta paga la rivalutazione è invece zero. E poi c’è la tassazione meno favorevole.
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