Perché il Btp Italia 2030 è stato un mezzo flop

Gli ordini sono stati pari a 9,45 miliardi di euro, il 30% in meno rispetto al 2020 quando l’inflazione non suggeriva la necessità di fare investimenti indicizzati

Perché il Btp Italia 2030 è stato un mezzo flop

Dopo quattro giorni di collocamento, tre dei quali dedicati ai risparmiatori, è tempo di tirare le prime somme relative al Btp Italia con scadenza giugno 2030, dotato di una cedola minima dell’1,6% e di un bonus dell’1% ma, soprattutto, indicizzato all’inflazione Foi (esclusi tabacchi) dell’Istat.

I dati al microscopio

Le prenotazioni raccolte durante i tre giorni dedicati agli investitori retail ammontano a 7,26 miliardi di euro ai quali vanno aggiunti i circa 2,2 miliardi degli investitori istituzionali. In totale gli ordini sono stati pari a 9,45 miliardi di euro ed è una cifra che va contestualizzata

La precedente emissione del bond, avvenuta a maggio del 2020, aveva raccolto quasi 14 miliardi di euro soltanto dagli investitori individuali (quindi non professionali), poco meno del doppio rispetto a questa nuova emissione.

Inoltre, nel 2020, avevamo tutti altre priorità: l’Italia era in clausura e il rischio, al contrario di oggi, era rappresentato dalla deflazione. I risparmi degli italiani tendevano ad aumentare, considerando le minori occasioni di spendere. Ciò nonostante, un buono indicizzato all’inflazione ha attirato più proseliti allora che adesso.

Cosa possiamo dedurre

L’inflazione è lo spauracchio odierno e, restando sul piano logico di una prima lettura, appare difficilmente spiegabile che i bond Italia 2030 non abbiano bissato (se non surclassato) il successo di quelli emessi nel 2020. Occorre quindi una lettura più approfondita che suggerisce due diverse eventualità: o l’inflazione non è avvertita dagli italiani come preoccupazione per il futuro, oppure il debito pubblico non appare un buon investimento.

La prima ipotesi ha a sua volta una spiegazione di fondo: secondo Banca d’Italia nei prossimi mesi l’inflazione assumerà volumi meno aggressivi assestandosi attorno al 3,5% per poi scendere ulteriormente nel corso del 2024 (fino al 2,2%). Questo giustificherebbe la poca volontà degli italiani di impegnare denaro per otto anni acquistando Btp che potrebbero rivelarsi meno redditizi di quanto atteso.

Il secondo scenario, quello della scemata fiducia degli italiani nei confronti del debito pubblico merita un confronto con la situazione del 2020 quando la Banca centrale europea (Bce) aveva avviato un programma di acquisti di titoli pubblici e privati (Pandemic Emergency Purchase Programme, Pepp) per sostenere l’economia. Questo potrebbe significare che gli italiani seguono la scia al di là della fiducia personale: se qualcuno compra Btp (poco importa se per motivi di fiducia o per forze di causa maggiore) allora ci si può fidare.

Prodotti finanziari indicizzati all’inflazione sono stati chiesti a gran voce anche dalla Consob, sponsorizzando in modo molto diretto i Btp di nuova emissione.

Una voce che però, numeri alla mano, ha convinto meno italiani rispetto al 2020. Forse non è questione soltanto di fiducia e non soltanto nei confronti del debito pubblico. C’è la possibilità che le incertezze sul futuro stiano inducendo una forma di paralisi momentanea.

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