Il libro, bisogna dirlo subito, è decisamente per addetti ai lavori. Una lunga intervista (ma è qualcosa di più) realizzata dal giornalista Massimo Mucchetti a Cesare Geronzi. Confiteor (Feltrinelli, 362 pagine) è il titolo. Più che di una confessione è una piccola battaglia da punti di vista diversi e che tali rimangono fino all'ultima pagina sugli ultimi trent'anni del salotto buono della finanza. La parte più noiosa è quella storica, dell'ascesa e della carriera del banchiere romano: si può saltare a piè pari. Fulminanti invece i capitoli più recenti che riguardano «la congiura di Generali» che portò, appunto all'estromissione di Geronzi dalla presidenza della prestigiosa compagnia assicurativa triestina, e tutti i passaggi che riguardano gli attuali manager di Mediobanca e le diverse battaglie delle successioni al Corriere della Sera.
Mettiamo subito le cose in chiaro. Geronzi dice ciò che gli è sempre stato attribuito: non sopporta i ragazzi di Mediobanca, e in specie il suo amministratore delegato, Alberto Nagel. È piuttosto abile su Della Valle. Fu in fondo proprio Mr Tod's a iniziare la danza contro il banchiere di Marino. Ma in modo sottile e dunque sprezzante Geronzi ritiene che «più che un mandante sia un mandato». Il ruolo decisivo per la sua estromissione dalle Generali l'avrebbero però avuto i ricchi signori della De Agostini, capitanati da Lorenzo Pellicioli. Geronzi racconta per filo e per segno (e per addetti ai lavori, appunto) come e dove nasce quel disegno. E tutti i conflitti di interesse che l'ex gruppo editoriale avrebbe alimentato con Generali: dall'acquisto e rivendita delle assicurazioni Toro, ai rapporti con finanzieri stranieri. Il messaggio che vuol mandare è semplice (e probabilmente su questo il punto di vista con l'intervistatore non diverge): la totale inadeguatezza di Mediobanca ad affrontare le sfide del futuro e la crisi del presente. Qualcosa di simile, ma per strade terze, lo stesso Mucchetti ha indirettamente sostenuto, parlando della necessità di fondere Unicredit e Intesa: ipotesi che poi azionisti e manager delle banche interessate hanno definito inesistente. Un banchiere - soprattutto uno come Geronzi - che parla è un evento raro, rarissimo: da non perdere tutto il tira e molla per la successione alla seconda direzione di Paolo Mieli dal Corriere. E i pranzi e gli incontri. Un capitolo di ricostruzioni che il Geronzi di ieri avrebbe sdegnosamente rifiutato anche solo di accennare. Ma oggi è tutto scritto. Con quel favoloso incontro tra Montezemolo e Nanni Bazoli, Geronzi artefice, per perorare la causa di Carlo Rossella alla direzione del Corrierone. Ma per un non addetto ai lavori emerge un impasto mal lievitato. È difficile capire dove inizia la verità e dove finisca la rivendicazione, è impossibile capire quanti dettagli siano stati occultati e quanti ingigantiti. Resta un affresco di quell'Italia delle relazioni, in cui tutto si tiene. In cui l'attuale ministro Passera entra nella stanza di Nanni e dice: ma già che ci siamo teniamoci Mieli. In cui Della Valle, grande sponsor della candidatura dei Rossella, non si sarebbe neanche presentato al cda di Rcs, in cui poi alla fine e all'unanimità passò il candidato di Bazoli, e cioè Ferruccio de Bortoli.
Leggi il libro di Geronzi intervistato da Mucchetti e poi pensi che quella Rcs e quei banchieri e quegli advisor e quegli interessi e quei politici e quei ministri e tutto quello che volete voi ci hanno consegnato un gruppo editoriale che in nove mesi ha bruciato quasi 400 milioni. Sí certo, il solito qualunquismo da quattro soldi. Ma dopo 360 pagine di trame, in fondo ti viene in mente che in tutte le parti del mondo la finanza è secretive. Ma piccolina e circoscritta come la nostra, non ce n'è.
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