Un sinomino di Natale è speranza ma non per questo balordo 2020: oltre ai problemi legati alla pandemia le brutte sorprese non sono finite. La "cassa integrazione Covid" farà perdere l'80% della tredicesima destinata a milioni di lavoratori, in pratica circa quattro quinti degli importi delle 13 mensilità.
Cosa accade
È la denuncia stilata dal Centro studi di Unimpresa in un documento nel quale viene spiegato che, per un'azienda, un lavoratore posto in "Cig-Covid" costa fino a 500 euro al mese. Il balzello a carico delle imprese, che oscilla da 401 a 498 euro, è la somma di una serie di oneri più o meno nascosti: contributo aggiuntivo previsto dal “decreto agosto”, proporzionale alla perdita di fatturato, per le imprese che sospendono l’attività; finanziamento ordinario ammortizzatori sociali; accantonamento integrale del trattamento di fine rapporto oltre al pagamento di anzianità di servizio, scatti di anzianità e periodo di comporto. un lavoratore che in un mese usufruisce di 160 ore di cassa integrazione, con una retribuzione annua lorda di 25mila euro, ad un’azienda comporta un costo che varia da 401,87 euro a 498,67 euro.
Niente soldi sotto l'albero
La tredicesima mensilità, il giusto tributo ad un anno di sacrifici (mai come quest'anno), in pratica sparisce: non è mai stato chiarito, infatti, che il contributo orario “Cig Covid”, pari a poco più di 4 euro, comprende anche il rateo della retribuzione di Natale. "Le nostre aziende, con la fine dell’anno, quando si siederanno per tirare la linea di questo terribile 2020, scopriranno quello che nessuno gli ha mai realmente detto" commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi. Di cosa si tratta? "Oltre all’imposizione decisionale in casa propria, cioè il divieto di licenziare, vi è anche l’imposizione di sostenere dei costi perché il sussidio alle famiglie in realtà non è a carico dello Stato, ma è cofinanziato in maniera robusta dalle nostre imprese che da ormai nove mesi non riescono a riaprire neanche le loro porte", afferma Assi.
Oltre al danno la beffa
Secondo Unimpresa, il divieto di licenziare non solo è contrario alla volontà delle aziende (che si vedono precluse un'opzione fondamentale per far fronte alle emergenze economiche), ma è anche controproducente, sul piano economico, per i lavoratori che avrebbero preferito accedere al sussidio già esistente: la Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego) garantisce un “assegno” mensile pari al 75% della retribuzione contro il 50% della cassa integrazione “Covid”. Inoltre, mentre la Naspi viene pagata con regolarità ogni mese, la "Cig-Covid" sconta ritardi di 4-5 mesi.
Cosa succede in Europa
Il documento di Unimpresa racconta anche le misure adottate nei più grandi Paesi europei, nettamente diverse dalle nostre. "In tutti i grandi Paesi europei esistono aiuti di Stato simili ai nostri ma con la differenza che spetta all’azienda la scelta se fruirne o licenziare il personale per alleggerire i costi" spiega Assi. In Germania, per esempio, non esiste il divieto ai licenziamenti ma è prevista una specie di cassa integrazione che copre tra il 60 e il 67% dello stipendio netto per le ore ridotte (in Italia siamo al di sotto del 50%); anche l'Olanda non ha alcun blocco ai licenziamenti ma il governo offre sussidi a chi ne possiede i requisiti rimborsando parte degli stipendi dei lavoratori.
Nel Regno Unito, sin da marzo, esiste il “furlough”, una sorta di periodo di aspettativa non retribuita del lavoratore che riceve un sussidio dallo Stato (ovviamente anche lì non c'è alcun divieto di licenziamento) mentre in Francia si punta a negoziare accordi collettivi per la modifica dei termini del rapporto di lavoro in cambio dell’impegno a non licenziare, la riduzione degli stipendi del management e il divieto di distribuire dividendi agli azionisti.
"Abbiamo tante volte contestato l’imposizione al limite dell’incostituzionalità del divieto di licenziamento dato senza se e senza ma alle nostre aziende e soprattutto ai loro lavoratori.
Il governo ha dimostrato, in questo provvedimento, tutta la sua cecità nel non voler vedere soluzioni alternative che potessero portare soddisfazione comune alle aziende, alleggerendo la Cig-Covid di costi occulti, e ai lavoratori, dando loro un sostegno dignitosi al posto dei 4 euro l’ora dati a distanza di quattro mesi» conclude Assi.
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