Non occorre il fiuto di Maigret per scovare i colpevoli del frazionale aumento delle esportazioni italiane in giugno. Un pallido +0,4%, attribuibile alle vendite di beni di consumo durevoli e beni strumentali, che non basta a evitare una contrazione del 3,2% nel secondo trimestre rispetto al primo. Percentuali che rischiano di erodere il saldo commerciale positivo per 18,3 miliardi di euro dei primi sei mesi (-15 miliardi nello stesso periodo del 2022) e che allungano le ombre, già un po' minacciose, sulla seconda parte dell'anno. Quella in cui, verosimilmente, le nostre imprese dovranno ancora confrontarsi con il passo recessivo della Germania e con il ritmo di crescita strascicato della Cina.
Anche se l'Istat sottolinea che la crescita dell'export «è contenuta verso entrambe le aree, Ue (+0,5%) ed extra Ue (+0,3%)», è proprio tra Berlino e Pechino che si concentrano le maggiori difficoltà a collocare le nostre merci. I tedeschi, nel 2022 il principale sbocco commerciale italiano (circa il 12,5% sul totale), hanno ridotto in giugno dell'1,1% su base annua l'importazione dei nostri prodotti. La situazione potrebbe peggiorare se il governo guidato da Olaf Scholz non troverà correttivi per invertire una rotta congiunturale, peraltro ancora intossicata da un'inflazione elevata e dagli alti tassi d'interesse imposti dalla Bce (e dalla Bundesbank in particolare), che costringe le famiglie a tirare la cinghia e a spendere meno.
Anche l'ex Impero Celeste, flagellato dalla deflazione e alle prese con un Pil cresciuto appena del 6,3% nel secondo trimestre, tende a comprare meno merci che arrivano da oltre confine (-12,4% l'import in luglio). Non avendo ancora dispiegato alcun effetto le misure di stimolo varate dal governo cinese, il nostro export verso il Paese asiatico si è ridotto del 6,7%, un calo che renderà difficile bissare i 77 miliardi di euro di scambi commerciali registrati lo scorso anno.
Il made in Italy tiene invece - e bene - nei Paesi che hanno i rapporti di cambio, rispetto all'euro, dalla parte del manico. Gli incrementi dell'export più sostanziosi riguardano infatti la Svizzera (+9,7%) e gli Stati Uniti (+6,9%), due Paesi dove la forza del franco e del dollaro hanno continuato a sostenere le importazioni.
Resta ora da vedere se, e in che misura, la politica monetaria restrittiva attuata dalla principali banche centrale impatterà sul ciclo economico nei prossimi mesi. Anche se le stime dei principali organismi internazionali escludono una recessione globale, un ulteriore deterioramento congiunturale frenerebbe il commercio. Soprattutto se il rallentamento si dovesse saldare a un ritorno di fiamma dell'inflazione a causa dell'aumento dei prezzi dell'energia. Un surriscaldamento che andrebbe subito a modificare i saldi della nostra bilancia commerciale, in attivo per oltre 7,7 miliardi di euro in giugno (era -2,5 miliardi nel giugno 2022) proprio grazie alla discesa delle quotazioni di gas e petrolio. Così, il deficit energetico ha subito un drastico calo, scendendo a 3,8 miliardi, contro i 9,3 miliardi dello scorso anno.
I prezzi all'import, conferma l'istituto di statistica, «segnano un nuovo calo congiunturale - il nono consecutivo - e un ulteriore ampliamento della flessione tendenziale, cui contribuiscono quasi totalmente i ribassi dei prodotti energetici».
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