«La Bce deve cambiare rotta»: già il titolo è secco come un ordine. Poi, una decina di pagine che equivalgono a una dichiarazione di guerra consegnata nelle mani di Mario Draghi. Perché è lui, l'italiano che sta mettendo in atto «azioni disperate» tali da mettere a rischio «la stabilità finanziaria di lungo termine» dell'eurozona, l'uomo che non si cura di quanto gli errori delle banche centrali possano «essere catastrofici», il vero bersaglio dell'attacco feroce sferrato dal capo economista di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau. Ultimo atto di un duello in cui la Germania, da quando il quantitative easing non è più solo un tema di discussione accademica, ha schierato pezzi da novanta: dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble alla Confindustria tedesca, dalle potenti Sparkasse all'autorevole istituto economico Ifo.
Insomma: di fumare il calumet della pace con il presidente dell'Eurotower non se ne parla proprio. Non almeno fino a quando l'Eurotower insisterà ad acquistare titoli sovrani e bond corporate e a mantenere i tassi d'interesse negativi, due fattori tossici che «starebbero già danneggiando i risparmiatori, permettendo tra l'altro ai politici di posticipare quelle riforme strutturali di cui l'Europa ha bisogno». Rilievo curioso, visto che dall'ex governatore di Bankitalia è arrivata ieri l'ennesima sollecitazione ai governi a non perdere altro tempo nel processo di rinnovamento, essendo il costo di tali ritardi «semplicemente troppo alto». Del resto, l'area dell'euro continua a denunciare un deficit di produttività che è la risultante dei «magri risultati» finora conseguiti. Aumentarla «è difficile - ammette Draghi - . Richiede un ampio spettro di riforme, e quelle riforme si scontrano con forti resistenze degli interessi consolidati». L'Ocse è sulla stessa linea: «Per rafforzare la crescita e affrontare la sfida chiave del calo degli investimenti nelle economie avanzate sono necessarie ulteriori riforme».
Qualcuno potrebbe obiettare che Deutsche Bank non dovrebbe perdere tempo ad attaccare Draghi, occupata com'è a non saltare in aria sulla gigantesca mina dei derivati che tiene in pancia (55mila miliardi di euro, 6 volte il Pil di Eurolandia), a rimettere in sesto i conti (6,8 miliardi di perdite nel 2015), a pagare maxi-multe (2,5 miliardi solo per i magheggi con Euribor, Libor e Tibor) e con la spada di Damocle di un nuovo aumento di capitale. Di sicuro, una banca che offre rendimenti del 5% sui depositi vincolati della divisione belga, adombrando il sospetto di avere qualche problema di liquidità, vede come il fumo negli occhi i tassi negativi. Così si arriva ad accusare Draghi di miopia, di avere una visione di corto respiro tesa a «garantire una stabilità finanziaria di breve termine».
Ma non solo. Dal punto di vista di DB, l'Eurotower ha perso quella che per una banca centrale è la stella polare, la credibilità. Sia sui mercati e, «elemento ancora più preoccupante, tra i cittadini». Solo un terzo dei cittadini europei, denuncia il report, si fida ancora della Bce. Eppure, la risposta della Bce è quella «di spingere la propria politica ai limiti». Anche a costo di provocare una «distribuzione errata nell'economia reale, che sta diventando sempre più difficile cambiare senza che si alimenti un'ulteriore sofferenza». Così, alla fine, Draghi finisce per fare il gioco «dei detentori di azioni e di immobili», mentre «i risparmiatori perdono».
Occorre cambiare direzione, e in fretta: per la banca tedesca, il previsto ritorno dell'inflazione all'1% nel primo trimestre 2017 sarà l'occasione buona. Più a lungo sarà mantenuta la politica monetaria non convenzionale, e «più gravi saranno i danni al progetto europeo». Cioè alla Germania.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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