Neptune Energy finisce nel perimetro dell'Eni con un'operazione - combinata con la controllata al 63% Var - da 4,9 miliardi di dollari. Parafrasando l'ad Claudio Descalzi si tratta della «sposa» perfetta.
L'acquisizione, allo studio da mesi, ha infatti almeno quattro risvolti importanti per il gruppo e per il mercato energetico: a livello di sistema, l'operazione aggiungerà circa 4 miliardi di metri cubi di gas da destinare ai consumatori europei (e italiani) sia via gasdotto, sia attraverso Gnl, tenendo conto della capacità acquisita attraverso Var nel progetto di Snovhit in Norvegia e dell'aumento della propria quota di Gnl prodotto dall'impianto di Bontang in Indonesia. Inoltre, si rafforza la presenza dell'Eni in Algeria, e quindi si fanno più forti anche le relazioni con questo Paese divenuto strategico per le nostre forniture di gas dopo la chiusura con la Russia. A livello industriale, Eni si aspetta di generare sinergie in termini di costi di struttura e industriali per mezzo miliardo di dollari, e ulteriori upside, fino al possibile raddoppio di tali sinergie. Sul fronte green, si apre la strada a potenziali sviluppi nei progetti di cattura e stoccaggio della CO2 in Olanda, Regno Unito e Norvegia e a progetti con l'idrogeno.
Neptune è infatti una società indipendente, leader nell'esplorazione e produzione, con un portafoglio globale di asset prevalentemente a gas e attività in Europa occidentale, Nord Africa, Indonesia e Australia. La produzione di Neptune - che nel 2022 ha registrato ricavi per circa 1,22 miliardi di dollari e un ebitda di 95 milioni - è competitiva in termini di costo e ha un basso livello di emissioni. Fondata nel 2015 da Sam Laidlaw, attualmente è controllata da China Investment Corporation (49%), da fondi gestiti da Carlyle Group e Cvc Capital Partners e da alcuni manager della società.
Eni acquisirà l'intero portafoglio di Neptune con esclusione delle attività in Germania e in Norvegia. Gli asset tedeschi saranno scorporati dal perimetro prima dell'operazione, mentre le attività in Norvegia (Neptune Norway Business) saranno acquisite dalla controllata Var. Una «divisione» di asset che è anche finanziaria: Var ha acquisito gli asset norvegesi di Neptune pagandoli 2,3 miliardi di dollari, cash che è rimasto in pancia a Neptune; Eni da parte sua ha acquisito Neptune (senza gli asset tedeschi, senza gli asset norvegesi e con 2,3 miliardi in più in pancia) sulla base di un valore di 2,6 miliardi di dollari, pagando cash 2,1 miliardi di dollari (i restanti 500 milioni sono di debito).
«Attraverso questa operazione Eni acquisisce un portafoglio di elevata qualità e a bassa intensità carbonica, con un'eccezionale complementarità a livello strategico e operativo. Riteniamo che il gas sia una fonte energetica ponte cruciale per la transizione energetica globale, e siamo impegnati ad aumentare la nostra quota di produzione di gas naturale al 60% entro il 2030», ha commentato Descalzi.
Secondo l'ad, inoltre, «il basso costo delle nuove forniture e l'incremento di flusso di cassa che porta a Eni supporteranno il nostro impegno nell'offrire un dividendo attraente e solido e il programma di buyback a sostegno della distribuzione del 25-30% del flusso di cassa operativo ai nostri azionisti».In Piazza Affari il titolo Eni ha chiuso la seduta in calo dello 0,70 a 12,80 euro; a Oslo meglio Var in rialzo di oltre 3 punti percentuali.
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