"Falliti per i derivati e strozzati dalla banca" Così è sparita Balloon

Dopo il crac, gli imprenditori schiacciati dalle fidejussioni «omnibus». Ma Unicredit non tratta

"Falliti per i derivati e strozzati dalla banca" Così è sparita Balloon

È stato uno dei brand più romantici degli anni Novanta. Nei negozi Balloon si respirava un'aria retrò tra modellini di mongolfiere in vetrina, poltrone e cassettiere dal gusto ottocentesco e un tripudio di camicie di seta, capi in cashmere, tessuti preziosi. Le boutique, una quarantina tra Italia ed estero, si affacciavano sulle vie dello shopping di lusso, ed erano un richiamo irresistibile per chi cercava capi di qualità a prezzi pop.

Il gruppo Balloon era nato a fine anni Settanta dall'intuizione dei tre fratelli Greco, romani, Roberto, Gabriella e Giorgio, di portare seta, cashmere e tessuti cinesi in Italia per poi dar vita a modelli adatti al nostro mercato. All'apice del successo la maison impiegava 300 persone, fatturava 28 milioni l'anno e faceva sfilare Charlize Theron. Questo mondo è scomparso nel maggio del 2013 con la dichiarazione di fallimento.

Mongolfiere, immobili, arredi e brand (Balloon e Blunauta) sono stati ceduti nell'ambito della procedura così come oltre 550mila capi, venduti a 20 cent al pezzo. Il sogno di espansione si è infranto con le linee di finanziamento erogate da Unicredit. Anche a fronte di una girandola di derivati, rivelatisi poi decisivi per il dissesto. «Nel corso degli anni avremo sottoscritto più di cento milioni di derivati. Ci dicevano che erano propedeutici alla concessione delle linee di credito e che ci avrebbero tutelati dai rischi sui finanziamenti; hanno invece concorso a creare una voragine» racconta Roberto Greco, già amministratore unico del gruppo. Si è creata infatti una sorta di corto circuito tra finanziamenti con richiesta di sottoscrizione di derivati, perdite su questi e necessità di ulteriori prestiti per colmare i nuovi deficit. Così, da un'esposizione di sei milioni e mezzo circa nei confronti di Piazza Gae Aulenti (oltre a ratei dovuti a Unicredit Leasing, coperti dagli immobili), si è arrivati al default, nonostante un patrimonio immobiliare consistente. L'imprenditore ricorda infatti come il negozio romano di piazza di Spagna sia stato valutato, a perizia del 2010, 12 milioni; gli uffici 7; via Casilina 20 e via Condotti 5 milioni.

Nel 2004 poi, ai tre imprenditori è stata chiesta la firma di una cosiddetta fideiussione omnibus. «In caso contrario Unicredit avrebbe revocato le linee concesse, oltre a non concedere ulteriori finanziamenti» ricorda l'imprenditore. I Greco si sono quindi fatti garanti in prima persona e con i propri beni personali di tutti i debiti passati, presenti e futuri della maison senza limiti di tempo né massimali. All'epoca si trattava di vincoli abbastanza comuni in alcuni ambiti (tanto che i contratti erano formulati, in genere, sui modelli predisposti nel 2003 dall'Abi), anche se non mancavano punti interrogativi sulla loro legittimità. E infatti la Banca d'Italia, nel 2005, ha rilevato profili di irregolarità del vincolo in relazione alla legge Antitrust 287/90; e un decennio dopo, tra il 2017 e il 2019, la Corte di Cassazione ha accertato l'illegittimità del contratto (e quindi la nullità della garanzia omnibus). Ma nonostante le sentenze della Corte, per i Greco non è cambiato nulla. «Ci hanno ipotecato persino la cuccia del cane e le nostre case rischiano di andare in asta. Non possiamo neanche aprire un conto corrente» spiega l'imprenditore. Il fatto è che il contratto di fideiussione omnibus è nullo solo se rientra nella previsione delle sentenze della suprema Corte (ovvero se è stato formulato sui modelli dell'Abi). E per accertare la nullità, occorre inviare un reclamo, procedere con ricorso all'«Arbitro Bancario» e infine adire in Tribunale (dove ora giacciono le richieste dei Greco).

«Non abbiamo più tempo. Siamo anziani, ammalati e usurati. Non possiamo pensare di passare altri vent'anni in Tribunale per far valere le nostre ragioni. Chiediamo a Unicredit di liberarci dal giogo della fideiussione omnibus» dichiara Greco che, come contropartita, offre il ritiro di tutte le azioni legali portate avanti dalla famiglia nei confronti della banca: dalla richiesta di danni per 50 milioni circa fino all'opposizione all'insinuazione al fallimento. Finora Unicredit è stata ammessa alla procedura solo per una quota residuale (intorno ai 39mila euro), anche a causa delle contestazioni mosse dai Greco. Qualora fosse ammessa al fallimento come creditore privilegiato, verosimilmente, riuscirebbe a soddisfare i propri crediti nei confronti di Balloon grazie alle operazioni effettuate sulle proprietà della maison. Proprio in queste ore, tuttavia, sembra essersi arenato l'ennesimo tentativo di giungere a una transazione tra le due parti.

Piazza Gae Aulenti avrebbe offerto la liberazione dalle ipoteche sugli immobili privati dei Greco e 500mila euro, ma non la restituzione dell'acconto da 508mila euro escusso dal conto di Roberto Greco. Unicredit, contattata, dal Giornale, ha preferito non commentare, né fornire alcuna versione di questa storia perché la politica della banca prevede di non parlare mai dei propri clienti.

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