Fed, vincono i falchi: tassi alti a lungo

Aumento limitato a 0,5%, ma fino al 2024 non si prevedono cali. Mercati delusi

Fed, vincono i falchi: tassi alti a lungo

Servita la carota sotto forma di un rialzo dei tassi limitato a mezzo punto, la Federal Reserve ha subito mostrato ieri ai mercati il bastone. Anche se con l'ultima stretta il livello dei Fed Funds ha toccato il punto più alto dal dicembre 2007 (al 4,25-4,50%), c'è ancora parecchia strada da percorrere prima che Eccles Building deponga le armi. Perché la guerra all'inflazione non è ancora ai titoli di coda.

Così, toni da falco imprevisti, con un'esibizione muscolare che si coglie immediatamente nel comunicato del Fomc in cui, contrariamente alle attese, non è stata espunta la frase sui continui aumenti del costo del denaro. Ma la postura aggressiva si coglie soprattutto nei cosiddetti dot plot, i pallini che plasticamente offrono l'orientamento dei membri del board. Qui ci sono parecchie indicazioni indigeste per gli investitori e per tutti coloro che ipotizzavano un ammorbidimento non troppo lontano. La prima: non ci saranno tagli fino al 2024. Ciò implica che il pivot, ossia il punto terminale oltre il quale la banca centrale Usa non irrigidisce più la politica monetaria, si sposta più in là. E precisamente al livello mediano del 5,1% che corrisponde a una forchetta compresa tra il 5 e il 5,25%. Un'asticella ben più alta rispetto al 4,80% messo nel mirino dal mercato in seguito al raffreddamento dei prezzi al consumo. Ma, fatto ancora più rimarchevole che spiega la reazione di Wall Street (-0,7% a un'ora dalla chiusura), il consensus vede sfumare le sei riduzioni dei tassi previste fra il 2023 e la fine del 2024. I dot plot indicano invece una sforbiciata da 100 punti base nel '24 che dovrebbe portare i tassi al 4,1% entro la fine di quell'anno. Poi, si entra in territori inesplorati. Per quel che vale, nel 2025 ci sarà un altro taglio di un punto percentuale e nel lungo periodo (Keynes è in agguato) si tornerà al 2,5%. Ma è sul brevissimo termine che gli investitori si concentrano. E, dopo ieri, crescono gli interrogativi su come si comporterà la Fed in febbraio, prima riunione del nuovo anno. Una domanda sottotraccia che infastidisce il presidente dell'istituto Jerome Powell: Ora non è così importante quanto andiamo veloci - ha detto in conferenza stampa - . È molto più importante qual è il livello massimo, e a un certo punto la domanda diventerà per quanto tempo rimarremo restrittivi. Ora la politica non è sufficientemente restrittiva.

Nulla è scolpito sulla pietra, ma l'istituto di Washington pare aver tracciato una rotta che intende seguire fino in fondo. Powell è stato esplicito: la Fed continua a valutare come al rialzo i rischi per lo scenario d'inflazione, e si aspetta molti più prove di una discesa dell'inflazione. Ergo, non dobbiamo abbassare la guardia. Il dato di novembre, con i prezzi al consumo che si sono raffreddati dal 7,7 di ottobre al 7,1%, sembra quindi essere scivolato vis come acqua sul marmo. Non è ciò che i mercati speravano.

La navigazione non dovrebbe essere ostacolata dallo scoglio della recessione, poiché la Fed conta ancora per l'anno prossimo su una crescita del Pil, seppur ridotta dal +1,2% di settembre allo 0,50%. E' la stessa prevista per il 2022. E' verosimile che la stima sui prossimi 12 mesi sia quantomeno ottimistica.

Se già stanno lasciando un segno, gli ulteriori giri di vite al costo del denaro nel '23 impatteranno con maggior decisione sul ciclo economico. Il rischio è quello di un atterraggio duro. Forse è proprio ciò che la banca centrale vuole, anche se apertis verbis non lo ammetterà mai.

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