Ha fatto discutere né poteva essere diversamente il necrologio di Chiara Ferragni all'indomani della scomparsa di Leonardo Del Vecchio. C'è chi ha parlato di egocentrismo, dato che a molti è sembrata l'ennesima occasione per autoincensarsi, e chi ha trovato buffo che abbia messo la sua attività imprenditoriale sullo stesso piano di quella del patron di Luxottica: non fosse altro per il divario dei fatturati. A ogni modo, se la Ferragni si presenta come imprenditrice ha ragione. Tutti coloro che hanno una partita Iva, e di conseguenza vivono del proprio e dipendono soltanto dai consumatori, sono a pieno titolo imprenditori. Né si può sapere quale potrà essere nei prossimi anni il volume d'affari della modella, blogger e influencer milanese. Imprenditrice lo è di sicuro e il successo non le è mancato. Eppure qualcosa comunque stride, perché quei due mondi sono senza dubbio quanto mai distanti. In fondo, Del Vecchio appartiene a un universo che guardava all'imprenditore come un soggetto legato a un territorio. Ancora oggi, e nonostante il successo globale e la sua quotazione in Borsa, la Luxottica resta legata ad Agordo e in generale al Bellunese. Da qui il senso di una responsabilità capace pure di tradursi in una filantropia da realizzarsi senza clamori: perché la mano destra non deve sapere quello che fa la sinistra.
Tale riserbo nutrito di generosità ha poco in comune con l'universo dei Ferragnez, per citare il titolo di una buffa serie televisiva che ha messo in scena molti aspetti privati (si fa per dire) della coppia Ferragni Fedez. Tanto Del Vecchio era restio a occupare la scena, quanto invece questa nuova imprenditoria post-moderna si sviluppa come rielaborazione capitalistica della notorietà e del pettegolezzo: il tutto mescolato a quel vecchio slogan sessantottino secondo il quale «il privato è politico». Non a caso, la Ferragni è una versione all'italiana del capitalismo che negli Usa è detto «woke», chiamato in ogni momento ad accondiscendere alle parole d'ordine del momento: come s'è visto quando l'imprenditrice milanese è scesa in campo a difesa del decreto Zan e delle sue censure. Le parole con cui la Ferragni ha espresso il proprio cordoglio per la morte del patron di Luxottica meritano senza dubbio rispetto, né sarebbe civile montare un processo alle intenzioni. Se c'è, quindi, qualcosa di sorprendente è da riconoscere nel fatto che tale accostamento ci parla di come il capitalismo, anche da noi, è mutato in profondità. Del Vecchio era un «martinitt»: come Angelo Rizzoli (l'editore) o anche Edoardo Bianchi (che fondò l'azienda che costruisce biciclette).
Egli viene da un universo di lavoro e rigore, ma nel mezzo secolo che grosso modo separa la sua data di nascita da quella della Ferragni abbiamo visto mutare e non sempre in meglio la società italiana, che ora si riconosce in uomini e donne d'affari molto più pronti a seguire la corrente. Di questa trasformazione, l'influencer milanese è più un effetto che una causa.
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